
CAMPI BISENZIO – La Fiorentina è arrivata alla seconda pausa del campionato con un bilancio choc: tre punti in sei partite, contrassegnate da tre pareggi esterni e da tre sconfitte casalinghe. La media punta, 0,50, e la posizione in classifica, terzultima a pari punti con il Verona, hanno fatto scattare l’allarme rosso nei sostenitori viola. Diverso il cammino sostenuto, con tre vittorie, pur senza entusiasmare, nella Conference League a cui partecipiamo per la quarta volta, dopo aver perso due finali. La Conference, terza competizione europea istituita nel 2021-22 per promuovere la partecipazione delle squadre dei paesi meno accreditati nel ranking Uefa, è diventata il nostro vestito. Un habitat da superare, vincendo la Coppa, o con un piazzamento migliore in campionato per poter vivere altri palcoscenici europei (Europa League, e, soprattutto, Champions League). Purtroppo, oggi, dobbiamo guardare in un’altra direzione. Dobbiamo evitare che questa stagione, preparata dal facile entusiasmo del calciomercato, diventi un incubo. La Fiorentina deve risollevarsi e per questo, nel calcio come nella vita, c’è solamente una strada: quella del lavoro quotidiano, dell’umiltà, della lotta pallone su pallone. Anche la piazza, tutti gli appassionati devono fare la loro parte: sostenere la squadra, senza se e senza ma.
Ma cosa è successo quest’estate?
La Fiorentina in tre anni ha cambiato tre allenatori. Della vicenda Palladino abbiamo già scritto nei precedenti articoli su Piananotizie. La discontinuità tecnica è un problema. Oltre all’allenatore vengono cambiate le filosofie di gioco, in alcuni casi anche diametralmente. Questo rende ancora più difficile il rafforzamento della squadra. Il calciomercato è, da sempre, il regno delle illusioni. Le “figurine” contano più degli acquisti utili. La Fiorentina è stata lodata per aver “trattenuto i migliori” (con il costoso rinnovo di Kean, pur senza allungargli la durata del contratto e i riscatti di Gosens, Gudmundsson, Fagioli); per alcuni “interventi mirati” (Dzeko, 39 anni compiuti, Lamptey con alle spalle diversi problemi fisici, il difensore centrale Viti), altri di prospettiva (Fazzini), un centrocampista di quantità (Sohm) e il centravanti del futuro prossimo (Piccoli).
Il calciomercato non ha portato quello di cui si aveva più bisogno, ovvero sanare le nostre debolezze strutturali che sono di ruoli, a centrocampo ed in difesa, ma anche di personalità. Occorrevano due grandi giocatori, un difensore veloce e una fonte di gioco a centrocampo, che alzassero il livello tecnico e caratteriale della squadra.
In serie A la differenza tra le squadre composte da buoni giocatori e quelle da grandi giocatori è enorme. La distanza si riduce con l’organizzazione se si mettono accanto ai buoni giocatori grandi giocatori. E invece noi giriamo in tondo. A centrocampo sono anni che cambiamo, senza fare l’investimento decisivo: Torreira, Arthur, Adli, Cataldi, Nicolussi Caviglia… La novità di quest’estate, ne abbiamo già parlato, è stata la scelta Pioli, una scelta rassicurante, per il vissuto di Stefano, da calciatore ed allenatore, con la società viola. Per la prima volta dall’inizio dell’era Commisso — la cui presenza a Firenze è ormai sempre più sporadica — la società ha affidato al tecnico il compito di definire pubblicamente gli obiettivi stagionali. In passato, infatti, le indicazioni si riducevano alla banale formula: “Fare meglio dell’anno precedente”. Pioli ha alzato l’asticella, guardando contemporaneamente alla squadra e alla piazza, indicando la Champions League come orizzonte. In questo modo ha gasato il pubblico, ma ha anche segnato il suo ritorno nel calcio italiano come quello di una catapulta che voleva bruciare i tempi e mettersi alle spalle un anno, esageratamente remunerativo, ma umanamente difficile in Arabia Saudita. La sua “foga” si è scontrata con la difficoltà di forgiare il gruppo secondo i propri principi calcistici.
Stefano Pioli, che compirà 60 anni il prossimo 20 ottobre, vive nel mondo del calcio da quasi mezzo secolo e lo conosce in ogni sfumatura. Dopo una carriera da calciatore durata vent’anni — sei dei quali trascorsi alla Fiorentina — ha intrapreso subito quella di allenatore, partendo dal settore giovanile e diventando nel tempo uno dei tecnici più esperti della serie A. Ha guidato squadre importanti (Bologna, Lazio, Inter, Fiorentina) affrontando anche alcuni esoneri, e raggiungendo l’apice nel 2021-2022 con la conquista dello scudetto alla guida del Milan. Chi scrive ritiene che manchi, in società, un interlocutore tecnico diretto che, nelle situazioni difficili, abbia il carisma per imporre all’allenatore un paio di passi indietro per farne uno avanti. Pradè è oggetto di una netta ed esplicita contestazione, indiscutibile, da parte della Curva Fiesole, che avrebbe dovuto essere ascoltata fin dalla scorsa stagione. La scelta di Pradè come direttore sportivo e la nomina di Joe Barone, già collaboratore di Commisso nei Cosmos, a direttore generale, anziché quella di costruire un settore tecnico di livello internazionale, furono, fin dall’arrivo di questa proprietà, conseguenza dell’aver anteposto gli obiettivi economici a quelli sportivi.
Questa è la settima stagione di Rocco. Non sappiamo se questa sia una crisi del settimo anno, ma sicuramente è un lasso di tempo che permette un primo bilancio sull’operato della proprietà. Rocco Commisso acquistò la Fiorentina nel momento di massima crisi della precedente proprietà. Le proteste sotto il negozio dei Della Valle in via de’ Tornabuoni — simbolo del lusso cittadino — furono la goccia che fece traboccare il vaso, spingendo i fratelli a concludere una cessione su cui lavoravano da anni, ostacolata fin lì dalle loro elevate pretese economiche. La cifra esatta dell’acquisto non è mai stata resa pubblica. Sia Commisso, con sede in Delaware, sia i Della Valle, con sede in Lussemburgo, operano in giurisdizioni fiscali agevolate (paradisi fiscali). Le stime più attendibili parlano di un investimento intorno ai 130 milioni di euro.
Prima di approdare a Firenze, Commisso aveva tentato di rilevare Milan e Genoa, inserendosi nel filone che ha portato negli ultimi anni diversi fondi e imprenditori statunitensi a investire nel calcio italiano, considerandolo un’opportunità finanziaria più che sportiva. Un aspetto da comprendere bene, se si pensa che la serie A continua a registrare perdite strutturali e che la costruzione di nuovi stadi o infrastrutture — ostacolata da burocrazia e tempi lunghissimi — scoraggia di solito gli investitori. Non nel caso degli investitori statunitensi, fondi o privati che siano. La logica è puramente finanziaria: acquistare a basso costo, far crescere il valore del club e rivendere con profitto. Nel frattempo si utilizza a pieno la “flessibilità fiscale” di un sistema che spesso opera “estero su estero”. Un meccanismo diffuso in tutto il calcio internazionale, non solo in quello italiano.
A Firenze l’arrivo di Commisso fu accolto con entusiasmo. Dopo gli ultimi anni di declino della proprietà Della Valle, l’ambiente ritrovò speranza e curiosità. Lo stesso entusiasmo contagiò chi scrive, pur con una riserva personale: chi sostiene che “i soldi non sono un problema”, in genere li usa per generarne altri, non per passione sportiva. La prima scelta tecnica fu conservativa, con la conferma di Montella nonostante il disastroso finale di stagione con la salvezza all’ultima giornata con un pareggio (0-0 con il Genoa) pieno di paura. La prima stagione si rivelò più difficile del previsto. Il mercato estivo — con Pedro, Boateng, Badelj, Lirola, Pulgar e Ribéry — non funzionò, costringendo a interventi d’urgenza a gennaio (Igor, Duncan, Cutrone, Kouamé) a cifre assurde per il valore dei calciatori. Beppe Iachini subentrò a Montella e la squadra raggiunse la salvezza, chiudendo decima a 49 punti in un campionato condizionato dalla pandemia. L’anno successivo, con il ritorno parziale del pubblico, la Fiorentina confermò Iachini, poi sostituito da Prandelli e successivamente richiamato, chiudendo tredicesima con 40 punti. Anche in questa stagione il mercato – nonostante gli arrivi di Quarta e Amrabat, l’imbarazzante sostituzione di Chiesa con Callejon e l’incomprensibile acquisto di Kokorin – deluse le aspettative.
A quel punto serviva una svolta: fu scelto Gennaro Gattuso per aprire un nuovo ciclo, ma l’intesa si ruppe dopo pochi giorni per divergenze sul mercato. Il contratto non fu mai depositato in Lega, e un accordo di riservatezza chiuse il rapporto. La panchina passò così a Vincenzo Italiano, tecnico emergente fresco di rinnovo contrattuale con lo Spezia. Il suo gioco ha diviso il pubblico, ma ha alzato il livello tecnico della squadra. In tre stagioni — con un settimo e due ottavi posti (62, 59 e 60 punti), tre finali perse e sessioni di mercato tutt’altro che efficaci (a partire dalla sostituzione di Vlahović con Cabral e Ikoné, gennaio 2022) — Italiano ha comunque restituito alla Fiorentina un’identità di gioco riconoscibile. Palladino, con un gioco deludente, ha raggiunto lo scorso anno il miglior risultato dell’era Commisso (sesto posto con 65 punti). Ora bisogna uscire dalla pessima situazione di classifica, ma su tutto domina un interrogativo: quale è la dimensione sportiva della Fiorentina, quali sono, al settimo anno, gli obiettivi sportivi della proprietà?
Massimo Cervelli