Ero al mare un anno fa e ho capito dalle telefonate perse che c’era qualcosa che non andava. Poi ho sentito la voce di Pier Francesco che non sapeva come articolare la notizia. La notizia che non c’eri più e noi che piangevamo al telefono come due bambini. Poi il momento più difficile, parlare con Elena e pensare a cosa avrei mai potuto dirle. Voi due, così intrecciati nella vita e nel lavoro, tanto che non sapevamo dire “Daniele” o “Elena”, ma “l’Elena e Daniele” come un unico organismo che si sposta e pensa in sincrono.
Mi piacerebbe dirti che le cose sono diventate più semplici con il passare del tempo, ma ti direi una bugia e io non le ho mai sapute dire. Mi sorprendo spesso a pensarti e a cercare di capire cosa diresti su una situazione, su una questione e al fatto che probabilmente l’avremmo pensata diversamente, amando proprio per questo discuterne. Perché la tua è un’opinione che è sempre contata tantissimo per me. Sul lavoro e non solo. Mi mancano i nostri momenti a fine giornata, quando entravi nell’ufficio e ti mettevi a sedere davanti a me. Da come iniziavi il discorso, indovinavo già di cosa volevi parlare. E parlavamo un sacco, di tutto, dalle ricette di cucina, ai tuoi viaggi fatti negli anni, di Emma e di cosa vorrei insegnarle, di quello che succedeva nel mondo. E del nostro lavoro, dei nostri obiettivi, della voglia di crescere e cambiare che non ti abbandonava mai, tanto che te lo dicevo sempre che il più giovane tra i due eri tu. Mi è toccato crescere, ma tu questo lo sapevi e me lo hai detto tante volte scherzando che adesso toccava a noi, “alle nuove leve”.
Ti posso dire, un anno dopo, che ci abbiamo messo tutto l’impegno possibile. Siamo ancora qui nel tuo ufficio, facciamo girare il tuo Mac e cerchiamo di inventarci cose nuove, come piaceva a te. Daniele se c’è un posto dove sei adesso, io lo so, sei con noi, sempre.