FIRENZE – Il dibattito è aperto: chi è stato il più grande cannoniere della storia della Fiorentina? Kurt Hamrin o Gabriel Batistuta? L’argentino, che ha segnato 152 gol in serie A a fronte dei 151 dello svedese? Oppure il mitico Uccellino, che in tutto (coppe comprese) ha realizzato 208 reti contro le 207 del Re Leone? Come vedete siamo alle minuzie, ai particolari, a un solo gol di differenza a favore di Kurt compensato dai 16 che Gabriel mise a segno in serie B. Noi, da parte nostra, lo consideriamo un match pari. Due campioni, due fuoriclasse diversi (anzi, opposti) per caratteristiche tecniche e caratteriali, uguali per intelligenza, professionalità, amore per la maglia. Entrambi un orgoglio di Firenze e del popolo viola.
L’ho visto prima io
Dovendo quindi scegliere di chi narrare le gesta ci viene in aiuto la ricorrenza del 1 febbraio 2024, data nella quale Gabriel Omar Batistuta da Reconquista (cittadina della provincia di Santa Fè) compie i suoi primi 55 anni. La storia di come e perché Batistuta fu scoperto è nota da una parte e curiosa dall’altra: correva l’estate 1991 quando un “giovane” Vittorio Cecchi Gori si trovava a passare le nottate attaccato al televisore guardando la Coppa America. Il motivo è presto detto: nell’Argentina del CT Basile giocava con il numero 11 Diego Latorre che di lì a poco avrebbe vestito la maglia viola. Ma dopo una doppietta nella prima gara (3-0 al Venezuela), un gol decisivo al Cile padrone di casa, un altro al Paraguay (4-1 il finale), a fronte di un solo squillo dello stesso Latorre (3-2 al Perù), al buon Vittorio venne il dubbio che il calciatore da comprare fosse un altro. Intendiamoci, Diego non era un bluff, però quel ragazzone biondo, potente, a tratti sgangherato ma forte, fortissimo fisicamente rubava l’occhio. Eh se lo rubava… Dubbio che, grazie ai gol vincenti nel girone finale contro Brasile e Colombia, svanì di colpo portando l’improvvisato talent-scout di Palazzo Borghese a cambiare le carte in tavola: Batistuta subito a Firenze, Latorre parcheggiato in Argentina. E così ebbe inizio l’epopea, durata nove lunghi e magnifici anni, di Gabriel Omar Batistuta a Firenze.
Dai gol a grappoli…
Capirete bene, conoscendo il soggetto, che per Vittorio Cecchi Gori l’acquisto di Batistuta era più di un fiore all’occhiello: era l’oro del Klondike, l’invenzione del motore a scoppio, la scoperta della penicillina, era una bandiera da srotolare contro tutto e contro tutti. Anche (e soprattutto) quando le cose si mettevano male. Ed anche per questo Batistuta restò a Firenze per un lasso di tempo impensabile al giorno d’oggi, una follia economica e gestionale che solo uno come Vittorio Cecchi Gori poteva realizzare. Certo il ragazzo ci metteva del suo: 13 gol al primo anno, 16 ciascuno nei seguenti due, capocannoniere con 26 nel ’94-’95 (stagione nella quale strappò a Pascutti lo storico record di reti consecutive), 19, 13, 21, 21, fino ai 23 nella stagione dell’addio (1999-2000) con la storica tripletta finale al Venezia. Nel mezzo un miglioramento tecnico, tattico e caratteriale mai visto prima in un calciatore. Batistuta arrivò a Firenze che non sapeva palleggiare, se ne andò che tirava le punizioni come rigori, tanto era il lavoro che c’era dietro, tanta era la sua volontà di affermarsi, di “arrivare”. Addirittura si diceva che costringesse il povero Toldo a fare gli straordinari per “testare” i suoi progressi, e che a fine allenamento fosse l’ultimo a spengere le luci e chiudere la porta dei “campini”.
… al ritocchino”
E poi c’era il rovescio della medaglia, ovvero il famoso “ritocchino”. Tralasciando le voci sulla presunta tirchiaggine di Batistuta (a Firenze era quasi diventata una novella popolare), ricordiamo come l’allora corpulento procuratore dell’argentino (tale Settimio Aloisio) avesse fatto il solco tra le nuvole che collegavano Firenze a Buenos Aires. Obiettivo da raggiungere… il “ritocchino”, ovvero l’aumento (sostanzioso) d’ingaggio per ogni sessione di mercato. L’estate peggiore fu quella del 1997: se n’era andato Claudio Ranieri, arrivava il “carneade” Alberto Malesani, il Parma di Tanzi offriva 50 miliardi di lire più il cartellino di Hernan Crespo, insomma… c’era di che vacillare. Batistuta non voleva tornare, si raccontò di una crisi isterica quando il buon Settimio gli riferì che Vittorio non lo avrebbe ceduto. Poi si sa, il vil denaro (appunto il ritocchino/ritoccone), una buona mediazione/opera di convincimento, ed ecco che il 31 agosto 1997 Batistuta si presenta ad Udine per la prima di campionato: risultato? 3-2 per i viola con tripletta guarda un po’… di Gabriel Batistuta.
Il personaggio Batistuta
A questo punto completiamo il palmares: dei 207 gol abbiamo detto, corredati da 8 triplette e 22 doppiette, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e lo scettro di calciatore più decisivo della storia della Fiorentina. In più l’immaginario popolare: il magnifico gol di Wembley (che per bellezza e importanza se la gioca con il miracolo di Toldo su Kanu),quello al Manchester United (una doppietta tutta Argentina, Batistuta-Balbo) il Nou Camp ammutolito (1997, semifinale di Coppa delle Coppe), il maledetto infortunio con il Milan, il sogno sfumato di un tricolore e di una Champions League. E poi la Fiesole che gli dedica una statua (prima di un Fiorentina-Lazio del 1995), la tripletta all’Inter in semifinale di Coppa Italia, i gol in finale contro l’Atalanta, un’altra tripletta stavolta contro il Milan a San Siro (quando con una punizione a due in area per poco non stacca la testa a Maldini e Costacurta), la doppietta in Supercoppa Italiana (ancora contro i rossoneri, ancora alla Scala del calcio) con l’ormai celeberrimo urlo “Irina te amo”. Infine l’importanza, lo spessore di un’icona come Batistuta che ha contribuito ad impreziosire l’immagine della Fiorentina nel mondo. Insomma… non ce ne vogliano Antognoni con la sua eleganza (e un titolo mondiale), Baggio con il suo estro, Julinho con i suoi dribbling, ma i punti in classifica e la risonanza internazionale che ha prodotto il “personaggio” Batistuta sono irraggiungibili per chiunque altro.
Furono vere lacrime?
Arriviamo al 26 novembre 2000, data di Roma-Fiorentina. Batistuta se n’era andato da qualche mese (alla Roma, appunto) per la “modica” cifra di 70 miliardi di lire (soldi che dovevano servire ad evitare il fallimento, ma ahimè…), l’ottava di campionato proponeva lo scontro all’Olimpico tra viola e giallorossi, correva l’81’ e… spiove un pallone appena fuori l’area di rigore, il Batistuta romanista si coordina, colpisce di collo pieno e batte Francescone Toldo (in verità un po’ troppo fuori dai pali). Quel che succede dopo è storia: Batigol viene sommerso dall’abbraccio dei compagni, lui scoppia in un pianto dirotto e la partita finisce 1-0 per la Roma. Il titolo è già fatto: Batistuta sconfigge il suo passato. E le lacrime? Come in un romanzo di cappa e spada ci sono buoni e cattivi: i primi dissero che le lacrime erano sincere, che Batistuta (pur irreprensibile professionalmente) era distrutto dal dolore per aver segnato alla “sua” Fiorentina, i secondi videro in quelle lacrime un semplice scarico emotivo, una reazione nervosa alla tensione accumulata in settimana. E in effetti nei giorni precedenti alla partita non si parlò d’altro. Non sta a noi deciderlo, di certo Batistuta raggiunse il suo traguardo: vincere uno scudetto in Italia, di certo a Firenze un centravanti così lo rivedremo chissà quando. Ci consola il fatto che Batigol non perda occasione per ribadire il suo amore per Firenze (Roma non la nomina mai), ci rammarica il pensiero che pur avendo avuto in squadra (per nove anni, lo ripetiamo) uno dei più grandi centravanti di sempre abbiamo raccolto “solo” una Coppa Italia ed una Supercoppa italiana. Ma anche questo fa parte dell’essere un tifoso viola…
Stefano Borgi