CAMPI BISENZIO – Fila S, posto numero 11. Del Teatrodante Carlo Monni. E’ seduto da qui che lo spettatore ha potuto assistere a una favola. Una favola tutto sommato recente, che ha spaziato dagli anni Sessanta alla fine del secolo scorso, per poi concludersi con il ricordo nostalgico – quasi fosse un auspicio – di quando il protagonista, della favola, era bambino e camminava tenuto per mano dal babbo e dalla mamma. “Pupi Avati si racconta” è stato il primo spettacolo della stagione 2025/2026 nel teatro gestito dalla Fondazione Accademia dei Perseveranti con il Comune di Campi Bisenzio. Ed è stato un racconto che, alternando malinconia a risate, nomi importanti del cinema ad amori di gioventù, ha tenuto i presenti con il fiato sospeso per un’ora e mezzo. Un racconto accompagnato dalle note di quattro musicisti che, con i loro strumenti, hanno contribuito a rendere la favola ancora più emozionante: Checco Coniglio, Alfredo Ferrario, Francesco Angiuli e Simone Daclon.
Smettevano di suonare e il racconto ripartiva. Sul lato sinistro del palco loro, su quello destro Pupi Avati, seduto su una poltrona, per quella che è stata come una serata in famiglia. Mancava solo il caminetto acceso alle loro spalle per immaginare di essere nel salotto di casa. Quella casa e quella città, Bologna, da dove tutto è iniziato, fra disavventure e anche un po’ di “sfiga” (d’altronde anche lui ha usato questo termine…), prima che la vera vita cinematografica del registra, scrittore, sceneggiatore e chi più ne ha più ne metta, prendesse il via nella capitale. Quella “Roma che se ne frega di tutti” e che per Avati, grazie anche a tante combinazioni – o intuizioni, decidete voi – felici, è stata il trampolino di lancio. Scoprendo, grazie al suo racconto, anche come è iniziata la carriera di Lucio Dalla e Mariangela Melato o come è ripartita quella di Diego Abatantuono, che il protagonista del film “Regalo di Natale” doveva essere Lino Banfi (scelto prima di Abantuono), che poi preferì girare “Il commissario Lo Gatto” con Dino Risi. E così non si sedette al tavolo per la famosa partita a poker insieme a Gianni Cavina, Alessandro Haber, Carlo Delle Piane e George Eastman.
Scoprendo soprattutto come è svoltata la sua, di carriera, grazie a un copione messo per sbaglio in valigia da Ugo Tognazzi a Torvaianica dopo che Paolo Villaggio aveva risposto in modo negativo al regista bolognese. Ma anche come è sbocciato l’amore della sua vita, quello per la donna con cui Avati condivide la quotidianità da oltre sessant’anni. E della quale si è “rinnamorato” a 86 primavere, come racconta nel suo ultimo libro dal titolo appunto “Rinnamorarsi. Cronaca di sentimenti veri e immaginari”, scritto per Solferino. E partito con una data di compleanno falsa, quello che lo stesso Avati disse volutamente a colei che sarebbe stata la sua futura moglie per “strapparle” un bacio. Dialogando con il pubblico a luci accese, come richiesto esplicitamente da Avati, fra un brano di Benny Goodman e quel “Stardust” o “Polvere di stelle” che in tanti hanno ascoltato a occhi chiusi. Impossibile raccontare tutto, impossibile trasmettere tutte le emozioni vissute. Provate a spegnere la luce e lasciatevi “cullare” da un po’ di questa musica. E chiudete gli occhi anche voi, vi sembrerà di avere vicino Pupi Avati che è appena tornato dal Bar Margherita a Bologna. Ed è seduto sulla poltrona accanto alla vostra. Per chi scrive è stato così. Dalla fila S, posto numero 11. Del Teatrodante Carlo Monni di Campi Bisenzio.

