In Regione “La rivoluzione di don Momigli”

FIRENZE/CAMPI BISENZIO – Che sia stata una “rivoluzione” lo ha detto la storia recente. Adesso è “certificata” anche sulle pagine di un libro. Presentato questo pomeriggio, nella Sala del Gonfalone, a Firenze, il libro scritto da Luigi Ceccherini sull’esperienza d’inclusione nata nella comunità di San Donnino ad opera dell’ex sindacalista diventato sacerdote: don Giovanni Momigli. “Siamo onorati e […]

FIRENZE/CAMPI BISENZIO – Che sia stata una “rivoluzione” lo ha detto la storia recente. Adesso è “certificata” anche sulle pagine di un libro. Presentato questo pomeriggio, nella Sala del Gonfalone, a Firenze, il libro scritto da Luigi Ceccherini sull’esperienza d’inclusione nata nella comunità di San Donnino ad opera dell’ex sindacalista diventato sacerdote: don Giovanni Momigli. “Siamo onorati e ci sentiamo orgogliosi di presentare questo libro all’interno del Palazzo del Pegaso. E’ la storia bella di una Toscana del fare, dell’inclusione, della solidarietà. Don Giovanni Momigli ha sempre cercato di rendere concreti i valori in cui crede con il fare. C’è riuscito. Ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha fatto: per l’integrazione, per i giovani, per la comunità intera di San Donnino, vera oasi d’inclusione: un’espressione del fare fra le più alte e più belle che l’area fiorentina ha visto negli ultimi trent’anni”. Con queste parole il presidente del consiglio regionale, Eugenio Giani, ha fatto gli onori di casa alla presentazione del volume “La ‘rivoluzione’ di don Momigli”, scritto da Luigi Ceccherini, che così ne riassume il senso nel sottotitolo: “Come un ex sindacalista salvò un paese da Chinatown. La via fiorentina all’Inte(g)razione”. Le porte del seminario per Giovanni, quindicenne, rimasero chiuse. Si aprirono solo venti anni dopo al sindacalista della Cisl, che guidava la federazione dei lavoratori nelle costruzioni. Dopo essere stato ordinato sacerdote, il cardinale Silvano Piovanelli lo inviò a San Donnino, in quella che all’epoca era a tutti gli effetti la periferia di Firenze, dove erano appena arrivati tremila cinesi in una comunità di 4.500 abitanti. Ebbene, la gestione di quell’emergenza è diventata un modello per chiunque si occupi d’immigrazione e accoglienza. Fu davvero una “rivoluzione”? Don Giovanni Momigli si schermisce: “Caso mai nell’approccio, nelle modalità con cui si è guardato all’immigrazione. E’ stata vista nell’ambito di un’unità civica, dove ciascuno è chiamato a portare le proprie specificità nella costruzione di un’unica comunità, plurale”. Eravamo negli anni Novanta del secolo scorso. Qualcosa è cambiato da allora, soprattutto nelle motivazioni alla base dei flussi odierni. “San Donnino è a pochi chilometri dall’Osmannoro dove, negli ultimi mesi, abbiamo assistito a una rivolta della comunità cinese e alla tragica morte di Ali Muse nel rogo di un capannone dove vivevano circa ottanta somali; – ha ricordato la consigliera regionale Monia Monni – a differenza di altri luoghi, a San Donnino la collaborazione tra don Momigli e le istituzioni ha consentito un governo fermo del problema, evitando concentrazioni, che sono l’opposto dell’integrazione”. Presenti anche l’assessore regionale alla salute, Stefania Saccardi, il presidente dell’associazione delle istituzioni di cultura italiane (Aici) Valdo Spini, allora sottosegretario al ministero degli Interni, il direttore della rivista Testimonianze Severino Saccardi e Chang Shao Wu, esponente della comunità cinese, oltre l’autore. Il presidente Giani ha consegnato a don Giovanni Momigli il “Trofeo Pegaso” a nome di tutto il consiglio regionale.