CAMPI BISENZIO – La vertenza Gkn segna un’importante vittoria per i lavoratori. Questa mattina la Fiom-Cgil ha infatti vinto il ricorso “ex articolo 28” per comportamento antisindacale contro l’azienda. A questo punto la Gkn non ha quindi altra scelta che ritirare la procedura di licenziamento collettivo. Una vittoria decisiva quella del sindacato che consentirà al Governo di avere a disposizione più tempo per intervenire con una legge che blocchi le delocalizzazioni.
Nei giorni successivi al licenziamento dei lavoratori la Fiom-Cgil si era attivata subito ritenendo antisindacale la modalità di chiusura dell’azienda, messa in atto senza preavviso, una chiusura avvenuta in violazione delle norme del contratto collettivo nazionale metalmeccanici e degli accordi sindacali siglati dalla Rsu; con la vittoria di questa mattina segna quindi un punto importante per il futuro dei lavoratori, rimettendo tutto in gioco.
Intanto i lavoratori vanno avanti con la loro battaglia su più fronti, dopo le migliaia di persone portate in piazza sabato a Firenze al grido di “Siamo tutti Gkn”, stanno raccogliendo anche le adesioni per una petizione dal titolo “Fermiamo le delocalizzazioni e lo smantellamento del tessuto produttivo”. I promotori nel testo specificano che “Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro” e, affinché la legge contro le delocalizzazioni a cui sta lavorando il Governo sia veramente efficace, chiedono che tenga conto di otto punti fondamentali.
Gli otto punti sono:
A fronte di condizioni oggettive e controllabili l’autorità pubblica deve essere legittimata a non autorizzare l’avvio della procedura di licenziamento collettivo da parte delle imprese.
L’impresa che intenda chiudere un sito produttivo deve informare preventivamente l’autorità pubblica e le rappresentanze dei lavoratori presenti in azienda e nelle eventuali aziende dell’indotto, nonché le rispettive organizzazioni sindacali e quelle più rappresentative di settore.
L’informazione deve permettere un controllo sulla reale situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’azienda, al fine di valutare la possibilità di una soluzione alternativa alla chiusura.
La soluzione alternativa viene definita in un Piano che garantisca la continuità dell’attività produttiva e dell’occupazione di tutti i lavoratori coinvolti presso quell’azienda, compresi i lavoratori eventualmente occupati nell’indotto e nelle attività esternalizzate.
Il Piano viene approvato dall’autorità pubblica, con il parere positivo vincolante della maggioranza dei lavoratori coinvolti, espressa attraverso le proprie rappresentanze. L’autorità pubblica garantisce e controlla il rispetto del Piano da parte dell’impresa.
Nessuna procedura di licenziamento può essere avviata prima dell’attuazione del Piano.
L’eventuale cessione dell’azienda deve prevedere un diritto di prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori impiegati presso l’azienda anche con il supporto economico, incentivi ed agevolazioni da parte dello Stato e delle istituzioni locali. In tutte le ipotesi di cessione deve essere garantita la continuità produttiva dell’azienda, la piena occupazione di lavoratrici e lavoratori e il mantenimento dei trattamenti economico-normativi. Nelle ipotesi in cui le cessioni non siano a favore dello Stato o della cooperativa deve essere previsto un controllo pubblico sulla solvibilità dei cessionari.
Il mancato rispetto da parte dell’azienda delle procedure sopra descritte comporta l’illegittimità dei licenziamenti ed integra un’ipotesi di condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 l. 300/1970
Insomma la battaglia sarà ancora impegnativa, ma intanto oggi c’è un motivo per festeggiare.
Valentina Tisi