Appalti Montblanc: protesta dei lavoratori senza stipendio e contro i licenziamenti annunciati

CAMPI BISENZIO – Nuova protesta dei lavoratori in appalto Montblanc di fronte allo stabilimento di via Gattinella. “L’azienda che gestisce l’appalto – spiegano i Cobas – non paga la sua quota del contratto di solidarietà (il10% del salario) mentre continua volontariamente a mandare “flussi” sbagliati all’Inps creando enormi problemi ai lavoratori a incassare la cassa […]

CAMPI BISENZIO – Nuova protesta dei lavoratori in appalto Montblanc di fronte allo stabilimento di via Gattinella. “L’azienda che gestisce l’appalto – spiegano i Cobas – non paga la sua quota del contratto di solidarietà (il10% del salario) mentre continua volontariamente a mandare “flussi” sbagliati all’Inps creando enormi problemi ai lavoratori a incassare la cassa integrazione. Tutto questo per fiaccare la resistenza dei lavoratori e sabotare la lotta che richiede un ricollocamento nella filiera. Intanto si avvicina la scadenza dei contratti di solidarietà – fissata al 23 settembre – e con questa si avvicina la minaccia di una procedura di licenziamento. É urgente portare al tavolo la Montblanc per un piano di ricollocamento nella filiera come da mesi richiediamo insieme ai lavoratori”. Lavoratori che hanno annunciato il lancio della campagna “Shame in Italy”, che vedrà scioperi e mobilitazioni in più aziende nelle filiere di vari brand già dalle prossime settimane. 

E ancora: “Grandi marchi, prezzi astronomici, lavoratori pagati 4 euro l’ora e costretti a turni infiniti. Sono le condizioni di lavoro che troviamo in centinaia di fabbriche tra Firenze e Prato. Lo sfruttamento del lavoro è ormai la norma nelle catene di fornitura dei grandi brand della moda e del lusso Made in Italy, che eppure permette ai brand di presentarsi sui mercati di tutto il mondo con un’immagine di eccellenza e qualità, alimentando profitti da capogiro. La realtà delle filiere della moda e del lusso nasconde ben altro: luoghi di sfruttamento e abuso in una catena infinita di appalti e subappalti. Siamo portati a pensare che i prezzi stellari che vediamo nelle vetrine significano automaticamente più tutele per chi produce quelle borse, scarpe o vestiti. Ma nella realtà significa solo extraprofitti miliardari per i colossi finanziari proprietari dei brand”.

“Non c’è freno alla corsa al massimo risparmio nella catene di produzione: il risultato sono prodotti di lusso a costi di produzione bassissimi, frutto di turni di lavoro di 12 o 14 ore per 6 giorni a settimana, senza diritti. Il Made in Italy non è una garanzia di qualità e di sostenibilità se le aziende possono agire impunemente, aggirando ogni tipo di diritto che sarebbe garantito nel nostro paese. Pertanto i lavoratori hanno deciso di organizzarsi per interrompere la catena dello sfruttamento, rivendicando di lavorare 8 ore per 5 giorni, di avere contratti regolari e diritti riconosciuti. Alcuni brand stanno provando a fermare la lotta contro lo sfruttamento, primo fra tutti Montblanc, che ha deciso di dileguarsi e “sabotare” la sindacalizzazione. Ha trasferito le commesse rifiutandosi di dire dove portando al rischio licenziamento nello stabilimento di Campi Bisenzio dove, dopo anni di sfruttamento, gli operai si erano conquistati i diritti prima negati”. 

“La campagna “Shame in Italy” – concludono – nasce da chi lavora in queste aziende, che insieme al sindacato vuole mettere in luce quanto accade nelle filiere dei grandi brand della moda. Vogliamo un cambiamento radicale nella trasparenza delle filiere e una clausola sociale contro le delocalizzazioni che garantisca il posto di lavoro a chi è stato sfruttato per anni e decide di denunciare e lottare per una vita migliore. Per arginare lo strapotere dei brand, di quei pochi che pensano di poter sfruttare persone e territorio impunemente, per poi lasciarci solo scorie. Invitiamo tutta la comunità a raccogliere questa sfida”.