Bar delle scuole, l’appello di due gestori campigiani: “Servono aiuti, non lavoriamo dal 5 marzo. Rischia davvero di finire tutto…”

CAMPI BISENZIO – L’amarezza e la dignità. L’amarezza è quella di veder svanire in poco, pochissimo tempo, il lavoro di una vita. La dignità è quella di provare a continuare a farla la vita di sempre, mantenendo gli stessi orari pur con la consapevolezza che l’incasso della giornata sarà “magrissimo” e che se, fino a […]

CAMPI BISENZIO – L’amarezza e la dignità. L’amarezza è quella di veder svanire in poco, pochissimo tempo, il lavoro di una vita. La dignità è quella di provare a continuare a farla la vita di sempre, mantenendo gli stessi orari pur con la consapevolezza che l’incasso della giornata sarà “magrissimo” e che se, fino a qualche mese, qualche settimana fa, si andava a lavorare in un luogo ricco di tante storie, oggi quello stesso luogo è praticamente deserto. “Siamo obbligati a non lavorare”: poche parole e che non hanno bisogno di troppe interpretazioni. Sono quelle pronunciate dagli oltre 200 gestori di bar delle scuole statali di secondo grado di tutta Italia che si sono cercati e censiti fra loro aprendo la pagina Facebook “Bar delle scuole” in rappresentanza di questo settore poco conosciuto e per questo invisibile.

E che di recente si sono confrontati per esporre le problematiche specifiche “che hanno impedito loro di lavorare dal 5 marzo, e qualcuno da febbraio, fino a settembre, – si legge in una nota – da qui abbiamo scritto un appello al presidente del Consiglio e ai ministri del lavoro e dell’istruzione spiegando che, mentre il Dpcm del 17 maggio autorizzava a una progressiva riapertura, i bar delle scuole sono rimasti forzatamente chiusi per 6 mesi”. Detto in altre parole, è dal 5 marzo che non lavorano. Ma soprattutto, oltre a restare chiusi molto più a lungo rispetto alle autorizzazioni alla riapertura di maggio, “i contributi ricevuti non sono bastati nemmeno a pagare le tasse”. Una situazione critica, che riguarda tutto il territorio fiorentino e che coinvolge le scuole Gobetti, Volta, Peano, Salvemini, Galilei, Marco Polo, liceo scientifico Leonardo Da Vinci, Russell Newton, Cellini, Istituto agraria, Gramsci e Meucci. Di tutto questo ne abbiamo parlato con due “gestori”, marito e moglie, entrambi campigiani, che hanno messo nero su bianco una situazione davvero paradossale: “C’è poco da dire, è dal 5 marzo che non lavoriamo, ma soprattutto non veniamo considerati da nessuno, a partire dalla Città metropolitana. Abbiamo ricevuto i “famosi” 600 euro soltanto una volta e un fondo perduto del 20% sul fatturato del mese di aprile dell’anno scorso che, come suo solito, è quello che in cui lavoriamo di meno proprio perché era il mese delle gite scolastiche…”.

“La riapertura di settembre-ottobre è stata parziale per l’attuazione delle norme anti Covid, che vi assicuriamo sono state tante ed efficaci, e per le numerose assenze degli studenti anche in quarantena. Adesso, a seguito del Dpcm del 24 ottobre, i bar delle scuole si trovano in un mini lockdown, nuovamente costretti o a sospendere l’attività per l’assenza degli studenti, che costituiscono la stragrande maggioranza della clientela, o comunque a subire ingenti perdite. Ma nemmeno il “Decreto Ristori” tiene conto delle pesanti e prolungate limitazioni al lavoro di questa categoria di lavoratori e generalizza i contributi di sostegno come se i bar delle scuole avessero potuto aprire da maggio in poi”.

Con il risultato che, se va bene, alla fine della giornata l’incasso è al massimo di 20-30 euro e i fornitori sono disperati. Da qui, una serie di richieste presentate al governo alla fine di ottobre: un’integrazione ai sostegni da maggio a settembre, ulteriori contributi fino alla ripresa delle lezioni in presenza, slittamento dei tributi e riduzione delle tariffe Enel fino a una effettiva ripresa delle attività lavorative post pandemia, deroga alla scadenza di bandi e rinnovo automatico della concessione per consentire il recupero delle perdite subìte nell’obbligata chiusura, sospensione dei pagamenti delle concessioni fino al ritorno delle regolari attività pre-pandemia. Con una considerazione finale che non dà scampo: “Altrimenti si corre il rischio che finisca tutto. O è tutto già finito?”.