“Che palle questo virus”. Ma è una nuova linea di cappelli: la storia di Patrizia, due negozi a Roma e un fortissimo legame con la Piana

SIGNA/CAMPI BISENZIO – Se il cappello, come ha detto in un’intervista al Tg2, in un outfit è un elemento di fortissima comunicazione, anzi è quello che “parla” più di tutti di noi e delle nostre emozioni, lei ha sicuramente centrato l’obiettivo. Lei è Patrizia Fabri, studi al liceo artistico e poi ad architettura, due negozi […]

SIGNA/CAMPI BISENZIO – Se il cappello, come ha detto in un’intervista al Tg2, in un outfit è un elemento di fortissima comunicazione, anzi è quello che “parla” più di tutti di noi e delle nostre emozioni, lei ha sicuramente centrato l’obiettivo. Lei è Patrizia Fabri, studi al liceo artistico e poi ad architettura, due negozi a Roma, uno in via degli Scipioni, l'”Antica Manifattura Cappelli”, l’altro in piazza del Popolo, più che due negozi dove si vendono i cappelli, due “roccaforti”, due accademie dove si tutelano la cultura della creatività e del lavoro ma soprattutto del lavoro di qualità.

Ma, al tempo stesso, un fortissimo legame con il nostro territorio, con Poggio a Caiano, Signa, Campi Bisenzio, “zone – ci tiene a sottolineare – dove nell’aria c’è un’etica del lavoro completamente diversa rispetto a Roma”. Una bottega, storica, quella di via degli Scipioni, che era stata aperta dalla famiglia Cirri, originaria proprio di Poggio a Caiano, nel lontano 1936. Una bottega in cui Patrizia aveva acquistato il suo primo cappello e che lei stessa ha rilevato nel 2003. Un luogo dove la manualità si respira a pieni polmoni, uno di quei posti rimasti “fermi nel tempo” ma che, a differenza di quello che si possa pensare, rappresenta un motivo di vanto. Proprio perché è una manifattura. E non a caso Patrizia si sente “un po’ custode, un po’ fiera, un po’ tutrice di quello che è un mondo a sé, dove la lavorazione del cappello resta sempre inalterata”. I suoi inizi sono stati da “autodidatta” con borse e scarpe ma il cappello, e tutto quello che ruota intorno a questo fantastico “oggetto”, ha sempre stimolato la sua creatività. Ma prima di scoprire fino a che punto, ci sia consentito restare ancora per un po’ come sospesi nel suo fantastico mondo.

Il suo lavoro, infatti, si basa ancora sulle forme di legno (“Mi ricordo che davanti all’Hotel Delfina a Signa c’era un “formaio” dove ho acquistato tanti modelli per realizzare degli zoccoli”, una delle sue prime passioni, prima di acquisire il laboratorio a Roma), perché quello che conta in un cappello parte “sempre dall’esigenza di trovare un equilibrio giusto con chi poi lo indosserà”. Da qui la cura del dettaglio, la voglia di dare vita a idee sempre nuove, a progetti che si susseguono, “a un carattere che se prima era appunto più “progettuale”, adesso si è fatto più istintivo”. Proprio come è successo durante i mesi del lockdown della scorsa primavera, quando ha sentito l’esigenza di voler dire… ciò che aveva in testa: “Ma in modo costruttivo, in modo positivo, reagendo a quello che ci stava capitando. E visto che il mio è un carattere giocoso, ho pensato a un’idea che potesse arrivare a tutti”.

E’ nata così la linea “Che palle questo virus”: “Ho sentito forte l’esigenza di fare qualcosa di nuovo per un’azienda che rappresenta il “Made in Italy” e che, come le altre, deve essere salvaguardata”. In altre parole la coloratissima collezione di baschi 100% lana che vedete nelle foto, un inno alla positività, “un’idea facile e super economica con cui la gente si diverte e si immedesima”. Anche nel desiderio di ritrovare il sorriso. E qui ritorna il legame con la Piana, con Campi Bisenzio e Prato, territori dove ci sono fornitori per cappelli unici in Italia e che rappresentano il carattere distintivo di quella zona come forte segno di identità territoriale. Una moda “scaccia Covid” insomma, fra ironia e cromoterapia. Perché se è giusto restare responsabili, è altrettanto giusto farlo con il sorriso. E con un po’ di ironia, che non guasta mai.

(La foto in basso è ripresa dal sito well-made.it)