CAMPI BISENZIO – Con “I diari del tandem”, nei mesi scorsi, ci ha portati in giro per la Piana alla scoperta di tante curiosità. Adesso che siamo nell’anno nuovo, abbiamo dato di nuovo fiducia a Giovanni Grossi che torna su Piananotizie con “I racconti in tandem”, ovvero una serie, appunto, di incontri mensili che inauguriamo oggi con Michele Arena e il suo libro “Come nascono gli incendi”. Un significativo “spaccato” di vita quotidiana che insegnerà, a chiunque legga lo legga, di affrontare il proprio incendio.
Come nascono le amicizie? O più precisamente com’è nata la nostra amicizia?…
“Ah, s’inizia proprio così, con una domanda semplice, semplice…”.
Scusami Michele, guarda non mi rispondere affatto. Non sforzarti di trovare l’atto di nascita della nostra amicizia nell’anagrafe del tuo cuore, perché ti voglio dire che stamani ho avuto la conferma che quella cosa lì, la nostra amicizia, c’è ancora. E questo basta. Non serve altro. Me ne sono accorto quando, per colpa di questa pioggia, è stato chiaro che non potevamo fare la nostra chiacchierata sul tuo libro in bici pedalando per Campi e ti sei offerto volontariamente di venirmi a prendere a casa in macchina. Quasi amore direi. Del resto la tua offerta di stamani vale come conferma al si sottinteso che due amici si scambiano sull’altare dell’amicizia: resteremo amici in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà… in climi asciutti ed anche in quelli piovosi. E poi pensa al dramma di due amici che si lasciano e non possono nemmeno permettersi il lusso di dirsi che rimarranno buoni amici. Più che di volontà parlerei di vigliaccheria nel prendere decisioni definitive. O è pigrizia?
“La pigrizia è un sentimento sottovalutato, lo dice anche Einstein che perdere tempo è il modo migliore per essere creativi. Quindi diciamo che è creatività?”.
Sono d’accordo con te e con Albert… Michele continua a tenere il suo sguardo un po’ vigliacco, ma anche pigro e pure creativo mentre guida tra gli svincoli sdrucciolevoli della circonvallazione Nord in un sabato mattina giallo, piovoso e freddo con direzione Centro Commerciale. Michele che di cognome fa Arena e che per esteso, quindi, fa Michele Arena, oltre ad essere (ancora) mio amico ed un abile autista per gli svincoli sdrucciolevoli (esalta questo suo talento soprattutto nei giorni di pioggia) della circonvallazione Nord di Campi (e soprattutto in questi micidiali svincoli) lavora come educatore presso la Cooperativa Sociale Macramè ed è ideatore e conduttore (insieme a Leonardo Sacchetti) del bel progetto, diventato realtà, Porto delle Storie. E soprattutto ama scrivere. Ed è un amore corrisposto. E che questo amore fosse così tanto entusiasticamente corrisposto se n’è accorta anche la casa editrice Mondadori che, lesta lesta, ha da poco pubblicato il suo primo romanzo, con il titolo “Come nascono gli incendi”. Faccio esercizio di una pratica brutta e terribilmente cattiva, ma purtroppo particolarmente usuale in questo momento storico, ovvero spoilerare il finale del libro. Ebbene si, lo faccio, lo scrivo qui che il finale del libro è come il suo inizio e il suo svolgimento, e cioè bello, intenso e, in una parola (rubata alla nostra amica comune Ilaria Tagliaferri), potente. Aggiungo io: vero (so che l’Ilaria approverebbe). Fa quello che deve fare un buon libro e cioè comunicare emozioni forti e chiare con una scrittura coerentemente forte e chiara. Ma ritorniamo al nostro viaggio per gli svincoli sdrucciolevoli del ventricolo Nord dei nostri cuori. Non vorrei che Michele avesse sbagliato svincolo. No, siamo sulla strada giusta. Guardo avanti ed oltre il parabrezza vedo una fila di macchine come la nostra. Ai lati, oltre l’asfalto solo campi. E, oltre, solo Campi.
Michele, noi siamo qui in macchina che stiamo andando al centro commerciale. I tuoi tre ragazzi protagonisti ci vanno camminando su marciapiedi troppo stretti, costretti in fila indiana per non correre il rischio di essere investiti dalle auto. Come se le citta? non fossero pensate per gli utenti più deboli e tra questi i ragazzi:
“Il libro non è certo un’accusa all’urbanistica delle periferie ma che le città non siano pensate per gli adolescenti credo sia un dato di fatto. Spesso vengono allontanati dai posti che scelgono per ritrovarsi, che siano giardini o piazze. Molte cose non sono pensate per loro: la scuola, le misure anti Covid, i social media o il modo in cui ne parliamo senza ascoltarli veramente. Forse dico una cosa forte, ma una delle poche cose pensate per gli adolescenti oggi e? Netflix, lo fa sicuramente perché ha capito che sono un target di mercato, ma almeno, mentre molte scuole non riescono a parlare di sesso e la Rai censura ancora i baci omosessuali, gli propone serie Tv come Sex Education dove si possono riconoscere in tutta la loro complessità”. Siamo seduti a fare colazione da un bar del Centro Commerciale”.
I tuoi 3 ragazzi protagonisti del libro passano molto del loro tempo libero in un centro commerciale come questo dove ci troviamo adesso. Perché hai fatto questa scelta?
“Ma per nessun motivo particolare, sono luoghi che possono piacere o non piacere, ma passando molto tempo con gli adolescenti scopro che per loro hanno tutta una serie di caratteristiche che li rendono posti accoglienti. Ti puoi sedere senza pagare niente, puoi camminare al caldo, giocare alla Play dentro un negozio di elettronica, scambiarti consigli di giochi con i commessi di Game Stop. Se ci facessero una scuola superiore dentro ci sarebbe il boom di iscrizioni. “Come nascono gli incendi” è un romanzo corale democratico, nel senso che accanto al protagonista ci sono tre co-protagonisti degni di futuri spin-off, che intervallano la storia raccontandosi in prima persona e dialogando con il protagonista. Ci sono i due amici, Ismail e Rachele, e poi c’é la madre, Adele”.
E all’improvviso arriva il dolore, arriva l’incendio. La madre, Adele, pronuncia una parola a sei lettere: cancro. Perché si ha paura a nominare la parola morte e la parola cancro?
“Non lo so, una volta ho letto che tutte le paure alla fine sono solo la paura della stessa e unica cosa: la morte. Il cancro é una malattia che fa pensare a questo, mi verrebbe da dirti che non si parla di cancro come non si parla di morte. Oppure se ne parliamo lo si fa raccontandola come un’esperienza di cambiamento in cui scopri un sacco di cose meravigliose sulla vita e sulle persone. Che è un altro modo per allontanare la paura, dire che il cancro ti cambia la vita in meglio”. “Come è tua madre?”. “Stramba, dolce, arrabbiata e malata”. “E prima della malattia com’era?”. “Stramba, dolce e arrabbiata”. Questo è il dialogo tra l’amico Ismail e il protagonista”.
Adele sceglie di mantenere segreta la sua malattia. Perché questa scelta?
“Perché spesso in alcune malattie ti porti dentro anche il senso di colpa per esserti ammalato. Adele si sente dire dai medici che è colpa sua se ha un tumore, non in modo diretto ma il continuo rimando all’aver fumato, ad aver avuto uno stile di vita sbagliato ti porta a pensare di essertelo un po’ meritato. E poi Adele sa cosa ha procurato il tumore del marito sulla sua famiglia, magari è un tentativo di proteggere quello che ne e? rimasto, magari sbagliato o bizzarro, ma lo è. E comunque pensa anche a quello che sta succedendo con il Covid, la parola untore è venuta fuori spesso in questi mesi. Essere malati non e? una cosa semplice”.
La malattia con tutte le sue conseguenze fisiche e psicologiche quotidiane, i rapporti con i medici, con i vicini, con gli amici, viene descritta con cura. Quanto ti ha aiutato nel racconto della malattia l’incontro con l’associazione tumori toscana?
“Non nascondo che tante delle cose scritte sono cose che purtroppo ho vissuto, Come nascono gli incendi non è la storia della mia famiglia ma parla di qualcosa che conosco. I miei genitori sono passati tutti e due da malattie simili. L’incontro con l’ATT è stato un incontro salvifico, la faccia di una medicina più umana e sensibile, fatta anche di ascolto e di una cura non solo medica”. La colazione è finita, gli amici se ne vanno… a riprendere la macchina parcheggiata sul tetto del Centro Commerciale. Michele mi apre gentilmente lo sportello e poi si avvicina al suo sportello citando una scena del film “Bronx” di Robert De Niro”.
Michele più volte mi hai detto che nella scrittura ti senti comodo. Cosa intendi?
“Intendo che scrivo perché spesso non riesco a comunicare in altro modo. Come se ci fosse un canale interrotto dentro di me e certe cose uscissero solo scrivendo. So che e? faticoso starmi accanto ma ognuno penso abbia il suo modo: la scrittura, il canto, il cucinare, la pittura e perché no, anche gli abbracci. Ognuno comunica nel modo in cui riesce. Credo che scrivere sia una ricerca costante di intimità con qualcuno. Stephen King (lo so, lo cito troppo spesso), dice che si scrive sempre per una sola persona. Penso sia vero, o almeno per me è così”.
E in un batter di pedale di acceleratore abbiamo superato gli svincoli sdrucciolevoli, parcheggiato la macchina, entrati nel Teatrodante Carlo Monni, attraversati Foyer, sala e saliti su quest’altro tetto da dove, nei giorni che il cielo é limpido e terso si vede perfino il mare. Perché a uno scrittore che scrive di giovani gli chiedono sempre un giudizio sui giovani di oggi mentre ad uno scrittore che racconta una storia di pensionati non gli viene chiesto un giudizio sui pensionati di oggi?
“Perché chi ha il potere di dare giudizio è chi ha una voce e la può usare. Ai giovani spesso viene detto che sono il futuro, che quello che pensano non è importante adesso ma lo sarà quando saranno adulti. E così gli viene tolto il diritto ad avere una voce e allora nel frattempo giudichiamo ogni loro nuova passione o modo di vivere. E comunque quello di giudicare intere categorie di persone, che siano i giovani o le donne o gli immigrati, penso parta dallo stesso principio del razzismo. Si possono fare analisi sulla società, sui modi di vivere e su come cambiano i contesti, ma dire che i giovani di oggi non hanno ideali è così diverso da dire che i musulmani sono terroristi o gli italiani mafiosi? Solo che sugli adolescenti si possono dire cose pesantissime senza che nessuno dica niente. Rachele a un certo punto dice che gli adolescenti sono discriminati più delle donne e degli immigrati. E lei lo può dire visto che è donna e immigrata”.
Sono d’accordo con te, ma soprattutto con Rachele… Siamo sul tetto e pare proprio che scotti (e non poco). Sopra di noi solo cielo (che non scotta). E’ proprio vero che ci sono più cose in cielo che in terra. Ha smesso di piovere, ma ci sono le nuvole e oggi non si vede il mare. Anche gli amici hanno i loro segreti da svelare, i propri incendi personali. Tre ragazzi a zonzo che vivono la città tra asfalto e cemento, tra fast food, centri commerciali, macchinette che dispensano cibi e bevande schifosamente sublimi… E che fanno una cosa meravigliosa e molto cinematografica. Suonano i campanelli dei palazzoni inventandosi una scusa per poter salire sui tetti e riuscire a vedere, finalmente, la città dall’alto. Come è nata questa idea?
“Dal fatto che mi è capitato di conoscere una persona che viveva proprio all’ultimo piano di un palazzo e dalle scale davanti alla sua porta si poteva accedere al terrazzo sul tetto. E lei mi ci portava spesso. Ho un ricordo di quei momenti dolcissimo, e forse è anche uno dei pochi momenti in cui sono stato innamorato di Campi Bisenzio come delle città che ho incontrato nei miei viaggi”.
L’immagine di questi 3 ragazzi su questo tetto, anche se è di un teatro e non di un palazzone, potrebbe essere l’immagine del manifesto del film che verrà fatto dal tuo romanzo?
“Sicuramente, credo che ci stia già lavorando Wes Anderson e abbia scelto Asa Butterfield, il protagonista di Sex Education, per il ruolo del protagonista. Da quello che ho capito io l’amore incrocia per sbaglio la tua esistenza mentre meno te lo aspetti, come un temporale in una giornata estiva senza nuvole. E nello stesso modo può evaporare mentre ancora stai pensando di dover trovare un ombrello”.
Scrivi così nel tuo libro. Insomma la nascita di un amore è un mistero?
“La nascita come la fine, no?”.
Io continuo a essere d’accordo con Rachele… Non ho il coraggio di dire a Michele che mi sono innamorato di Rachele. Continuo… Già, come nascono gli incendi? Come nascono il dolore e l’amore? Dal tuo racconto io credo di aver capito che non è necessario capire da dove nascono gli incendi, ma che bisogna trovare il modo di non bruciarsi e per questo è necessario trovare il coraggio di affrontare senza segreti le capacità incendiarie della nostra anima. A cuore aperto e nudo. E’ l’unico modo che abbiamo per non correre il rischio di bruciarsi per davvero, perché siamo dei pompieri cialtroni che si sono dimenticati l’idrante in caserma. E non possiamo fare altrimenti. E’ così?
“Non so se è così per tutti, per me sicuramente, per i protagonisti del libro lo è. Gli incendi sono un punto di rottura nelle loro vite, qualcosa che sentono di non riuscire più a controllare. Il modo in cui riescono a difendersi e trovare un rifugio fatto di intimità e sincerità con qualcuno. Raccontarsi serve a questo, ma anche stare su un palazzo insieme o parlare della paure che stai provando o passare il proprio compleanno da Burger King o dirsi i pensieri più nascosti che hai nella testa. E’ il loro modo, non è una ricetta”.
Michele, te lo devo dire, mi e? rimasta una curiosità. Vorrei il numero di telefono di Rachele. Vorrei conoscerla. Non volermene. D’altra parte siamo amici. O no?
“Non prenderla male, ma ho il sospetto che lei non vorrebbe conoscere te, facciamo che glielo chiedo prima, ok?”.
Me la prendo eccome. Ti comunico che non sei più mio amico. Te lo scrivo qui, in questo pezzo per Piananotizie. Ma due amici che si lasciano non potendo dire che rimangono buoni amici cosa diventano, due buoni conoscenti?
Giovanni Grossi