Confcommercio: “Sempre meno negozi e sempre più bar, ristoranti e strutture ricettive nelle città toscane”

FIRENZE – Sempre meno negozi, sempre più bar, ristoranti e strutture ricettive. “Il trend – si legge in una nota – che ormai da oltre dieci anni sta ridisegnando la demografia delle imprese nelle città italiane è in atto anche in Toscana”. Lo confermano i risultati dell’indagine effettuata dall’Ufficio studi di Confcommercio, presentata oggi, 20 […]

FIRENZE – Sempre meno negozi, sempre più bar, ristoranti e strutture ricettive. “Il trend – si legge in una nota – che ormai da oltre dieci anni sta ridisegnando la demografia delle imprese nelle città italiane è in atto anche in Toscana”. Lo confermano i risultati dell’indagine effettuata dall’Ufficio studi di Confcommercio, presentata oggi, 20 febbraio, a Roma alla presenza del presidente Carlo Sangalli. A illustrare i dati regionali è invece il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni (nella foto): “Tutte le principali città toscane rispettano l’andamento nazionale, che vede in calo costante la rete distributiva sia nei centri storici sia nelle periferie. Di contro, c’è l’exploit di pubblici esercizi e ricettività, che aumentano con percentuali a due cifre un po’ ovunque”. In generale, le città capoluogo della Toscana hanno perduto negli ultimi dieci anni 1.272 esercizi commerciali, dei quali 434 nei centri storici (-7,1%) e 838 fuori (-7,9%), passando dalle 16.748 unità del 2008 alle 15.476 del 2019. Di contro, hanno “acquistato” oltre 2.000 attività fra bar, ristoranti e strutture ricettive, delle quali 700 nei centri storici (+21,7%) e 1.341 fuori (+28,8%), passando dalle 7.894 totali del 2008 alle 9.935 del 2019.

Nel caso di Firenze, negli ultimi 12 anni il commercio al dettaglio ha perduto un totale di 258 imprese, passando dalle 5.092 del 2008 alle 4.834 del 2019. E se le prime a scomparire in modo più marcato erano state quelle del centro (passate dalle 1.851 del 2008 alle 1.743 nel 2016, poi risalite di cinque unità per arrivare alle 1.748 di fine 2019), adesso stanno arretrando anche quelle delle altre aree (erano 3.241 nel 2008, 3.183 nel 2016 e 3.086 nel 2019, con una perdita di quasi cento unità solo negli ultimi tre anni). “Segno – spiega Marinoni – che la scomparsa dei negozi ora non è più legata, come lo era qualche anno fa, agli affitti troppo alti, per cui molte aziende avevano preferito trasferirsi in periferia, o al cambiamento demografico in corso, con il centro storico sempre più povero di residenti e preso d’assalto dal turismo. Un fatto che rendeva certo più appetibile per un imprenditore aprire un bed and breakfast o un bar piuttosto che un ferramenta. Adesso, a determinare l’arretramento dei negozi sono la riduzione dei consumi e la pressione fiscale ancora troppo alta che grava su imprese e famiglie e che impedisce di liberare risorse per la crescita”.

A cedere il passo, sia a livello nazionale che toscano, sono soprattutto botteghe di alimentari e bevande, negozi di abbigliamento, calzature, mobili e articoli per la casa, librerie, ferramenta e negozi di giocattoli. Ma è in calo anche il commercio ambulante. Reggono bene invece, anzi sono in crescita, farmacie, tabaccherie, negozi di computer e telefonia. “Qui ha voce in capitolo il cambiamento dei costumi e quindi dei consumi, con le persone sempre più connesse e interessate alla comunicazione, al web e alla salute”, commenta Marinoni. Riguardo alla ubicazione dei negozi, i centri storici restano le aree preferite per chi vuole investire in un’attività commerciale.

“Lo stato di salute del tessuto commerciale è una delle variabili più importanti da misurare per qualificare la vita delle comunità locali”, sottolinea Anna Lapini, presidente di Confcommercio Toscana. “La desertificazione commerciale priva i cittadini di servizi importanti ma soprattutto genera disagio sociale, insoddisfazione, insicurezza. Perché una strada illuminata da vetrine e insegne fa meno paura. Non solo: il deterioramento della rete dei negozi di vicinato abbassa anche il valore immobiliare di interi quartieri, con una perdita di ricchezza che diventa tangibile per tutte le famiglie. Ecco perché Confcommercio monitora con attenzione la demografia delle imprese, cercando un’alleanza con tutti i Comuni per la salvaguarda della distribuzione tradizionale, sia in sede fissa sia su area pubblica, perché anche fiere e mercati sono vitali per le nostre città”. “La partita del commercio – aggiunge – si vince solo se si accompagnano le misure di tutela e valorizzazione dei negozi con progetti più ampi in materia di urbanistica, recupero di spazi e aree dismesse, coesione sociale, innovazione, reti territoriali, infrastrutture, mobilità e rilancio turistico. Insomma, ci vogliono risposte integrate ed è per questo che le amministrazioni comunali hanno un ruolo centrale”.

Per quanto riguarda le proposte avanzate da Confcommercio: a livello locale, la promozione di accordi fra la rete del Sistema Confcommercio e le amministrazioni comunali, anche con il coinvolgimento di ampi partenariati locali, per realizzare progetti che valorizzino il commercio come parte integrante dello sviluppo e dell’identità urbana, secondo logiche di co-progettazione della città; a livello nazionale, la definizione di un Piano pluriennale per la rigenerazione urbana, dotato di un Fondo ordinario statale, per garantire la qualità fisica e infrastrutturale delle città e dare certezze a chi decide di investire in ambito urbano; a livello europeo, l’attuazione dell’agenda urbana dando continuità al programma nazionale per le città metropolitane, individuando misure di sostegno a favore delle piccole e medie imprese che operano nelle città e rilanciando la strategia nazionale per le aree interne.