Di linguaggio, di genere e di libertà, la sociolinguista Vera Gheno: “Abbiamo bisogno delle parole per parlarne”

CAMPI BISENZIO – Mai silenziose, le parole hanno generato rivoluzioni, ispirato progressi culturali, tracciato cambiamenti epocali nella storia dell’uomo. A partire dalla loro morfologia ci dicono molto di chi siamo e di quanto la libertà come quella di genere passi proprio attraverso le parole. Ne parliamo con Vera Gheno, sociolinguista e saggista italiana, protagonista, lo […]

CAMPI BISENZIO – Mai silenziose, le parole hanno generato rivoluzioni, ispirato progressi culturali, tracciato cambiamenti epocali nella storia dell’uomo. A partire dalla loro morfologia ci dicono molto di chi siamo e di quanto la libertà come quella di genere passi proprio attraverso le parole. Ne parliamo con Vera Gheno, sociolinguista e saggista italiana, protagonista, lo scorso 11 gennaio, della rassegna CaRa – Campi Racconta a Campi Bisenzio, per una giornata dedicata all’arte, all’introspezione e alla cultura, durante la quale, partendo dal suo libro “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole” (Effequ, 2019), ha stimolato un dibattito sull’urgenza di partire dalle parole e da un loro uso consapevole per una rideterminazione del femminile. CaRa – Campi Racconta, organizzata dalla Fondazione Accademia dei Perseveranti e dall’assessorato alla cultura del Comune di Campi Bisenzio, è un’iniziativa che unisce letteratura e teatro al Teatrodante Carlo Monni, una nuova piazza culturale per incontrarsi, confrontarsi e attivare la partecipazione alla vita della città.

Che cosa c’è dietro a un femminile singolare?

Il libro si chiama “Femminili singolari” per usare il singolare nella doppia accezione di opposto al plurale ma anche nel senso di “strano”, parlerei, quindi, di femminili professionali. Dietro c’è la volontà di far vedere di più la presenza femminile in tutti gli ambiti di lavoro e in tutte le posizioni lavorative, anche nelle posizioni apicali, stimolando, quindi, le persone a considerare normale la presenza femminile in qualunque contesto lavorativo. Cosa che ancora non è così vista.

Ha affermato che: “Le grandi lingue di cultura non sono sessiste di per sé”. Ci può raccontare meglio questo concetto?

L’italiano è una grande lingua di cultura nel senso che è una lingua pienamente sviluppata, tale che la si può usare per fare discorsi di massima complessità sia in ambito umanistico sia in ambito scientifico. Sicuramente non possiamo dire che, di per sè, sia sessista perchè contiene tutti gli strumenti linguistici per essere usata in maniera non sessista. Per cui, se uno volesse, con un po’ di attenzione, si può lavorare sull’uso, perchè è l’uso, spesso, a essere sessista e non la lingua in sé.

Secondo il suo punto di vista come sta cambiando il rapporto tra parole e persone?

Sicuramente rispetto a una volta c’è da parte delle persone, anche fuori da determinati contesti professionali e di studio, una maggiore necessità di conoscere più a fondo lo strumento della parola per usarla meglio. In altre parole, uno degli effetti, se vogliamo, secondari della società della comunicazione, che è quella in cui viviamo oggi, è che chiunque, non solo chi lavora con le parole, ha bisogno di usarle meglio se non altro perché gli capita molto più spesso di comunicare in contesti pubblici a partire, ma non solo ed esclusivamente, dai social. Quindi, anche per questo motivo, direi che negli ultimi dieci anni, in particolare, c‘è stato un aumento dell’interesse del pubblico nei confronti delle questioni di lingua, in parte sicuramente stimolato anche da quello che succede sui social. Già il fatto che sui social si parli tanto di lingua, dal mio punto di vista, penso sia una cosa senz’altro positiva e stimolante anche se, ovviamente, con l’aumentare dei discorsi sulla lingua non è detto che ne aumenti la qualità. Ci sono, ahimè, come per tutti i contesti, molte persone che della lingua parlano a vanvera perchè non hanno nessuna competenza specifica con in più l’aggravante, come diceva già Tullio De Mauro, che siccome la maggior parte delle persone non studia materie linguistiche dice delle baggianate ma dato che parla una lingua come lingua madre è convinta di non farlo ma, anzi, di dire cose intelligenti. Purtroppo c’è una grande differenza, a livello di competenze e di conoscenze, tra il parlare una lingua ed essere linguisti, tra il conoscerla come strumento e basta o il conoscerla anche come oggetto di una riflessione metacognitiva, come oggetto del pensare.

Come possiamo coltivare una cultura positiva delle parole, libera da stereotipi? E che ruolo può giocare la scuola in questo?

Penso che la scuola sia essenziale esattamente come diceva De Mauro già nelle Dieci tesi per l’educazione linguistica e democratica del 1975. Bisognerebbe portare un po’ di linguistica a scuola proprio per stimolare questo pensiero metalinguistico di cui accennavo poc’anzi. Dopodichè, credo che la cosa più semplice da fare per chiunque, dentro e fuori la scuola, sia quella di riflettere un po’ di più sulle proprie parole e, soprattutto, di riconoscere quanto sia parziale la conoscenza che ognuno di noi ha anche della lingua che parla tutti i giorni. Quindi, riconoscere che, una cosa, è usare la lingua come strumento di comunicazione del quotidiano e, un’altra, è farci sopra dei ragionamenti, magari anche più teorici, che non è così scontato. Penso che non ci sia nulla di male a ignorare un tema, non a essere ignoranti in generale ma a non essere linguisti. Allo stesso tempo bisognerebbe anche, come diceva Socrate, sapere di non sapere e, quindi, riconoscere che qualcun’altro, anche se dice una cosa che a te può sembrare controintuitiva in quanto semplice parlante, magari ne sa un po’ di più perchè questi temi li ha approfonditi.

A chi consiglia la lettura del suo libro?

“Femminili singolari” è un libro forse un po’ specifico perché si occupa, appunto, di questa questione del genere nella lingua. Direi quindi che è un libro che aggancia molto bene chi ne vuole sapere di più su questo specifico argomento altrimenti ho una vasta produzione libraria, tra cui l’ultimo libro che è un Einaudi e si chiama Grammamanti, che sono più più generici nel senso che parlano della possibilità di ampliare le conoscenze rispetto a una lingua anche senza rimanere specificamente su quel tema lì. Dipende da cosa si cerca da un libro, se si vuole sapere più o meno tutto quello che c’è da sapere sulla questione dell’uso del femminile nella lingua italiana, Femminili singolari per me è un buon testo, altrimenti consiglio di fare un giro nella mia bibliografia e trovare qualcos’altro.

Quale nuova consapevolezza ha acquisito nella stesura di questo lavoro?

Sono stata per molto tempo una di quelle persone molto scettiche che dicevano: “Chi se ne importa di dire sindaco o assessore, i problemi delle donne sono ben altri”. Quello che ho imparato studiando per scrivere quel libro è che è proprio un errore concettuale rendere antagoniste la lingua e “ben altri problemi”. In realtà, è vero che i problemi delle donne, di tutte le minoranze marginalizzate volendo, sono tanti ma è anche vero che noi abbiamo bisogno delle parole per parlarne. Quindi usare meglio le parole può aiutare a far passar meglio certe idee ed, eventualmente, a ottenere anche dei cambiamenti molto veri e molto pratici in altri livelli come il welfare o la posizione della donna nella società.

Sara Coseglia