“I diari del tandem” – Nome e cognome: Campi Bisenzio

CAMPI BISENZIO – Nuovo appuntamento con Giovanni Grossi e i suoi “Diari del tandem”. Questa volta in compagnia di Stefano Salvi, ex assessore all’urbanistica del Comune di Campi, da pochi mesi presidente del consiglio di gestione dell’Accademia dei Perseveranti, la partecipata del Comune di Campi che si occupa appunto della gestione e della promozione del […]

CAMPI BISENZIO – Nuovo appuntamento con Giovanni Grossi e i suoi “Diari del tandem”. Questa volta in compagnia di Stefano Salvi, ex assessore all’urbanistica del Comune di Campi, da pochi mesi presidente del consiglio di gestione dell’Accademia dei Perseveranti, la partecipata del Comune di Campi che si occupa appunto della gestione e della promozione del Teatrodante Carlo Monni. Domande, alternate a considerazioni personali, sia di Grossi che dello stesso Salvi, che ci consentono di riscoprire la Campi del passato e di paragonarla con quella di oggi, entrambe fatte di volti, personaggi, aneddoti di un territorio che di storie da raccontare ne ha veramente tante.

C’è da scaricare il Gabbiani, che ci vai te che sei campigiano come lui?

“All’epoca, era il 1986, o giù di lì, puntualizzavo con i miei colleghi di lavoro che io a Campi ci stavo, ma non ero di Campi, ero di Firenze. Non era un modo supponente per marcare una differenza e nemmeno una puntualizzazione anagrafica, ma semplicemente una forma di rispetto verso chi a Campi c’era nato e vissuto dalla nascita. Si avverte subito, appena entri in contatto con Campi, questo forte senso di appartenenza. Con il tempo, e nemmeno poi tanto, è stato facile sentirsene parte perché i campigiani sono inclusivi (anche verso i fiorentini supponenti, o supposti tali). Ed uno dei miei primi approcci alla campigianità è stato proprio lui, Luciano Gabbiani che poi in realtà si chiamava Luciano Salvi e Gabbiani era il nome della moglie, Maria Gabbiani per completezza”.

Scusa Stefano, te che sei avvocato, ma a Campi c’era un diritto di famiglia particolare per cui il marito prendeva il nome della moglie?

“Te che dici? Io direi di no…”.

L’appuntamento con Stefano Salvi, il figlio di babbo Luciano e mamma Maria è alle 16 in piazza. E’ sabato. E’ giorno di mercato. C’è ancora tanta gente al mercato, anche se fa caldo e il mare più vicino è a meno di un’ora. La piazza in questione in realtà è piazza Ballerini, la piazza più bella di Campi a parere di un campigiano per scelta sua, il sottoscritto, e di un campigiano per scelta del babbo e della mamma, Stefano.

Stefano cosa ha di così bello per te questa piazza?

“Sembra staccata dal resto del centro storico, ma in realtà è carica di storia. Qui c’erano le carceri, qui ha avuto sede il Tribunale. Qui, fino agli anni Ottanta veniva fatto il mercato. Qui c’erano i lavatoi. Il Bisenzio è qui a un passo. E Bisenzio per Campi non è solo un fiume è parte integrante del suo nome. In pratica è il suo cognome. E poi al numero 26 ci stava mio nonno”.

Mentre siamo seduti in una panchina della piazza dove ha abitato suo nonno, continuo il racconto di come io ho conosciuto babbo Luciano. Nel 1986 mi sono sposato, sono tornato a Campi e ho trovato lavoro alla Cooperativa Agricola di Legnaia. Tra le cose che mi capitava di vendere c’era, per l’appunto, il mitico Gabbiani ovvero una miscela di mangime per uccelli inventata qualche anno prima dal suocero di Luciano. Mi piaceva che a un tal Gabbiani gl’era venuto in mente di inventarsi un mangime per uccelli e quindi la fatica che comportava lo scarico dei sacchi di mangime e la loro sistemazione sui pancali era alleggerita dalla piacevole conversazione con il signor Salvi in Gabbiani. La sua storia mi incuriosiva. Pensavo che, forse, io, chiamandomi Grossi, avrei dovuto fare il pugile. Dilemmi. E comunque parlare con un Gabbiani, l’inventore del mangime Gabbiani, per me era come farmi il vaccino contro la polio direttamente da Sabin. Un giorno mentre, in piedi sul camion, mi stava porgendo un sacco da mettermi sulla spalla gli dissi che io ero più campigiano di lui perché io avevo scelto di stare a Campi mentre lui c’era solo nato. Mi guardò malissimo. Ed io smorzai subito il sorriso con cui avevo deciso di accompagnare quella affermazione e cambiai immediatamente discorso. Secondo me lui apprezzò questa mia vigliacca forma di richiesta di scuse.

Stefano te non hai proseguito l’attività del babbo. Hai preferito gli studi in legge, però credo che l’orgoglio di appartenere a questo fazzoletto di terra circondato dal resto del mondo da una linea di confine disegnata nei campi, e non tra le case, ti sia rimasta dentro. O no?

“La mia è una famiglia campigiana doc, tre nonni su quattro erano campigiani o meglio il nonno Salvi è nato nel piazzone alla Villa, la nonna Salvi faceva Rossi di cognome ed era dei Rossi di Capalle mentre il nonno da parte di mamma faceva Gabbiani ed era di san Cresci, dove lavorava negli anni Trenta. L’unica non campigiana era la moglie di Gino Gabbiani nata a Montalcino, figlia di macellai, che il nonno aveva conosciuto quando faceva il fattore a Montalcino. Il nonno paterno Salvi lavorava al consorzio agrario di Firenze in piazza San Firenze e molto spesso andava a lavorare in bicicletta, in estate e in inverno, con una vecchia bici con la lampada a carburo.

Come con la lampada a carburo?

“Sì, dato che d’inverno partiva e tornava di buio doveva stare attento a non sprecare il carburo perché la strada tra Firenze a Campi, anche se allora meno trafficata, era comunque molto pericolosa. E poi nel tempo libero si impegnava nella locale squadra di calcio campigiana che ancora non si chiamava Lanciotto. Ed anche qui ci andava in bicicletta. Nello stesso periodo storico il nonno Gino costruiva la sua casa in via Buozzi al 177, che allora si chiamava via Firenze, con sotto il magazzino dove vendeva cereali e sementi ai tanti contadini campigiani. In quegli anni dove dominava il fascismo nascono babbo Luciano e mamma Maria, lei nasce a Campi ma il babbo, per problemi medici, nasce a Firenze, cosa rarissima per quei tempi. Ed è alla fine degli anni Cinquanta che si conoscono, quando il babbo va lavorare dal Gabbiani e si innamora della figlia di Gino Gabbiani”.

Nelle conversazioni nel magazzino della Cooperativa Agricola di Legnaia, tra un ballino e l’altro del Gabbiani, chiesi a tuo babbo se conosceva le persone che in quei pochi mesi campigiani avevo cominciato a frequentare. I nomi che gli feci individuarono, inequivocabilmente, la mia appartenenza politica. Si perché erano tutti nomi frequentanti la locale sezione del Pci. Mi sorrise e mi disse, pacatamente, che non la pensavamo allo stesso modo. Anche in questo caso cambiammo discorso. Mi ricordo che la sera lo trovai a giro per la festa de l’Unità. Mi offrì un caffè e mi disse che comunque la festa de l’Unità era la festa di Campi.

Come nasce il tuo impegno politico?

“Il babbo Luciano ha un anima politica di centro e frequenta la sede della Dc di piazza della Chiesa, la vecchia sede del Comune di Campi, anche se non si è mai impegnato in politica. La scelta è nata quasi per caso su sollecitazione di un grande amico, Domenico Ferraro, che alle elezioni per l’amministrazione comunale del 1990 mi propone di candidarmi nell’allora Dc dove risultai eletto con altri 9 amici per il consiglio comunale della prima legislatura Chini. All’epoca i consiglieri erano 40 e non 30 come oggi. Feci i miei primi 5 anni in consiglio comunale cercando di imparare, sia il percorso amministrativo, lavorando nella commissione per la stesura del primo statuto del Comune, che quello politico. Erano gli anni di “mani pulite”, della fine della Dc, della nascita del Partito Popolare e poi della Margherita. Proprio con il buon risultato della Margherita nel 1999 entrai insieme a Vincenzo Rizzo nella terza giunta Chini per ricoprire il ruolo di assessore allo sviluppo economico. E ho continuato la mia esperienza amministrativa fino al 2018 con vari incarichi, l’ultimo con Emiliano Fossi quale assessore all’urbanistica”.

Quindi, visto che non sei stato semplice spettatore, ma attore protagonista dei cambiamenti accorsi a Campi dal secolo scorso a oggi mi puoi dire in cosa la trovi cambiata?

“Campi ha fatto salti da gigante nel corso di questi ultimi 20 anni. Un esempio su tutti: Campi nel 1999 era per l’Europa, insieme a Calenzano e Prato, Obiettivo 2. Definizione che prevede fondi europei per la riconversione delle regioni, o di parte di esse, gravemente colpite dal declino industriale, nel nostro caso il settore tessile. E Campi ha sfruttato questa opportunità, e con i Gigli che hanno fatto da traino, siamo arrivati ad avere nel nostro Comune, prima della crisi del 2009, oltre 4.500 imprese. Ha saputo superare la grave crisi che si era verificata, specialmente a San Donnino, con l’immigrazione cinese senza controllo. Da lì si è aperta una stagione che ha visto Campi primeggiare per le politiche di accoglienza nella legalità. Ci sarebbe tanto da dire. Basta pensare all’acquisizione da parte dell’amministrazione comunale di edifici caratterizzanti la storia di Campi, da Villa Montalvo e il suo parco alla Rocca Strozzi, da villa Rucellai al Teatro Dante”.

I nostri gioielli di famiglia. E ora?

“Si può dire che Campi è passata definitivamente da periferia scomoda di Firenze, dove collocare le funzioni sgradite, a città con aziende e funzioni che molti ci invidiano. E non è finita qui”.

E te ora?

“Neppure sei mesi fa sono stato nominato dal sindaco Fossi presidente dell’Accademia dei Perseveranti, la Fondazione che gestisce il teatro e, con la fusione con Idest, e la biblioteca comunale di Villa Montalvo. E appena i lavori di restauro saranno terminati, gestirà il museo della Rocca Strozzi dove saranno esposti i reperti etruschi trovati nell’area archeologica di Gonfienti. La scelta del sindaco mi ha spiazzato perché, contrariamente a mia moglie Daniela, recentemente scomparsa, che era una fedele abbonata alla stagione teatrale, io ho sempre preferito lo sport alle stagioni teatrali. Ma il ruolo che vado a rivestire si spiega con la profonda trasformazione della Fondazione Accademia dei Perseveranti che è diventata una società in house, cioè interamente di proprietà del Comune di Campi, con tutti i vincoli e i controlli che ciò comporta. Insomma, un incarico da avvocato più che da amante del palcoscenico. Ma come tutte le nuove esperienze che ho dovuto affrontare nella mia vita, anche questa l’affronterò con quel misto di curiosità, consapevolezza e fiducia nel futuro. Spero poi con la ripresa delle attività teatrali di cominciare a scoprire come nasce uno spettacolo, come si cercano gli interpreti e quali emozioni si celano dietro un debutto”.

Ovviamente me la ricordo l’abbonata Daniela Foscoli. Dopo ogni spettacolo era una delle persone che cercavo per avere una sua opinione. Mi ricordo che quando non mi diceva nulla, voleva dire che non le era piaciuto. Non che si peritava a dire quello che pensava, anzi, ma in questo caso prevaleva, evidentemente, la sua gentilezza. Fortunatamente il più delle volte non taceva…

“Ogni persona, nella sua vita, deve fare prima o poi i conti con la morte. Ma vedere morire la persona con cui hai condiviso 38 anni della tua vita, illuminati dal suo sorriso e dalla voglia di vivere e con cui hai avuto due splendide figlie, mi ha provocato una cicatrice nell’animo che non si risarcirà mai. Ci dovrò condividere giorno dopo giorno, ora dopo ora. Meno male che ho tanti amici intorno a me che rendono un po’ più lieve il fardello che la vita mi ha messo sulle spalle e che mi porta ancora a versare quotidianamente le lacrime di affetto per lei”.

C’è un ricordo anche piccolo che vorresti raccontare?

“Nella primavera del 1991, dopo un anno di matrimonio, comprammo due piante di ortensie che mettemmo in due grossi vasi. Queste piante ci hanno accompagnato nei traslochi, hanno visto crescere Elena e Chiara, hanno sopportato le “pisciate” di Charlie, hanno sofferto le gelate ma ogni anno sono rifiorite all’inizio dell’estate. Quest’anno una delle due è particolarmente rigogliosa e i fiori prevalgono sul verde delle foglie. La natura ci ricorda il suo sorriso, è la sua luce, immutabile come 30 anni fa. L’unica consolazione, se così si può chiamare, è proprio il ricordo di questa sua luce che continua a illuminarci il cammino, come un faro che nel mare in tempesta, ci guida lontano da quegli scogli, che la vita di ogni giorno ci presenta”.

“Il bello di Campi, come dicevi te, – conclude Salvi – che è una città che ha un nome e un cognome. Un nome proprio che si innesta su una storia che è la memoria della nostra famiglia o, più correttamente, dell’intreccio di tante famiglie. Del resto a Campi abbiamo un nostro personalissimo diritto di famiglia… Anche i fiori hanno un nome e un cognome che nel loro caso si declina come genere e specie. L’ortensia in questione si chiama Hydrangea Macrophilla. E’ un fiore bellissimo, ma in realtà non è un fiore, ma un’infiorescenza, cioè un insieme di tanti piccoli fiori. Anche noi siamo un insieme di tante cose, di tante famiglie. E in questo insieme c’è anche la passione per la Fiorentina. A proposito, e la Fiorentina? Non vedo l’ora di tornare allo stadio in Curva Fiesole. In curva si sta bene. In curva si sta meglio o meglio… #incurvasistameglio”.