I racconti in tandem – Nove chilometri e mezzo

CAMPI BISENZIO – Intanto, per iniziare, dobbiamo chiedere scusa a Giovanni Grossi. Già, perché in occasione dell’ultimo appuntamento sulle due ruote, quello del mese scorso, lo abbiamo erroneamente titolato “I diari del tandem”. Ma questi (per fortuna) sono “I racconti in tandem”, racconti di storie e storie da raccontare in tandem, nel senso che riguardano […]

CAMPI BISENZIO – Intanto, per iniziare, dobbiamo chiedere scusa a Giovanni Grossi. Già, perché in occasione dell’ultimo appuntamento sulle due ruote, quello del mese scorso, lo abbiamo erroneamente titolato “I diari del tandem”. Ma questi (per fortuna) sono “I racconti in tandem”, racconti di storie e storie da raccontare in tandem, nel senso che riguardano due persone. E non più sul tandem… Così, dopo Michele Arena e il suo libro “Come nascono gli incendi” e il sindaco di Campi, Emiliano Fossi, oggi è la volta di Leonardo Magnolfi e della passione (comune) per la bicicletta. Ma non solo.

P.F.N.

Da Campi Bisenzio a Firenze. Dal Teatrodante Carlo Monni al Teatro Puccini. Dalla panchina di Carlo Monni davanti al teatro che porta il suo nome in coabitazione alle scalinate di un altro teatro dedicato a un altro toscano eccellente. Dalla poesia alla musica il passo, o meglio il numero di giri delle ruote di una bici, è breve. Direi proprio di si, perché 9 chilometri e mezzo sono proprio pochi. Da un’indagine che gira in rete risulterebbe che per la maggior parte dei fiorentini la distanza casa-lavoro è al massimo di 5 chilometri. Ecco, ancora meno dei nostri 9 chilometri e mezzo (che poi, per l’appunto, non è che ci vogliono nove settimane e mezzo per farli in bici). Io e Leonardo (Leonardo Magnolfi per la precisione) ci conosciamo da un po’, ci uniscono diverse e cose e tra queste la voglia di pedalare. Abitiamo a Campi nei pressi del teatro dedicato a Carlo e a Dante e abbiamo la sede del nostro lavoro a Firenze nei pressi del teatro dedicato a Giacomo (solo a Giacomo). Da qualche anno ormai abbiamo deciso di percorrere tutti i giorni che Dio mette in terra (e in cielo) la distanza fra questi due teatri in bici, sì proprio in bici. Giorno dopo giorno, pedalata dopo pedalata. Io e Leonardo ci troviamo in una delle nostre abituali mattinate ciclistiche al bar del teatro. Giusto il tempo di un caffè all’aperto e dell’incontro casuale condito da foto con due amici, Federico e Mauro.

Leonardo te quando e perché hai deciso di inaugurare un nuovo ciclo della vita con il ciclo?

Ho cominciato ad andare a lavoro in ciclo a Firenze dal 2009, quando ho capito che dovevo fare nuove attività fisiche e trovavo correre una cosa estremamente noiosa. Ci ho pensato a lungo, perché colleghi e amici consideravano andare e venire in bici da Campi a Firenze come una sorta di impresa, per la distanza e per la pericolosità del tragitto. Pensa che ti ripensa mi sono buttato e, giusto per non dare enfasi all’evento, scelsi proprio il giorno in cui il Giro d’Italia arrivava a Firenze, il 22 maggio 2009. Da allora vado e vengo da Campi a Firenze quasi sempre in bici. Ne ho cambiate tre nel frattempo, ma sono ancora integro e ho scoperto che non è così difficile, anche se continuano a dirmi: vieni in bici? Accidenti deve essere una gran fatica. E io evito di smentirli.

Gran fatica è (quasi) l’anagramma di gran figata. Cosa ti piace di più di questa gran figata che è pedalare per l’Osmannoro?

Dopo 12 anni conosco la strada in ogni aspetto e ho imparato a riconoscere i cambiamenti stagionali. Per anni ho visto crescere i ributti laterali dei platani che la contornano sul lato canale. Inizialmente verdi e morbidi virgulti, sono cresciuti di anno in anno, invadendo sempre di più la sede stradale e costringendo chi va in bici a evitarli con rapidi scarti laterali, cercando di evitare di essere investito dai camion di turno che arrivano alle spalle. Finalmente l’uomo, dopo tanti anni, ha valutato che gli alberi fossero cresciuti abbastanza, e oltre a potere gli alberi hanno anche tagliato i ributti di base. Ma torneranno, nell’eterno conflitto naturale fra uomo e natura.

Secondo la tua esperienza pedalare per l’Osmannoro è sicuro?

Certo tutto sarebbe più facile se ci fosse una pista ciclabile. In effetti sul lato opposto c’è un percorso che va dallo slargo della Longinotti fino a spegnersi poco prima della rotonda dell’Osmannoro. Una pseudo pista ciclabile, senza alcuna segnaletica che l’identifichi come tale, che per andare è utile, sempre che si sappia fare lo slalom fra le bottiglie di vetro rotte che spesso la ingombrano. Al ritorno sarebbe utile, se per imboccarla non si dovesse attraversare la strada all’altezza della rotatoria, e non si uscisse subito sotto il Ponte di Maccione. Attraversare la strada li, specialmente in orario serale, fa rimpiangere gli incontri con i ributti dei platani. In questi 12 anni la qualità della strada non è migliorata, i pericoli restano gli stessi, però penso che prima doveva essere ancora peggio. La strada era veramente stretta. Lo si vede ancora bene perché all’interno della rotonda allungata di fronte alla Motorizzazione è ancora presente il filare di platani che delimitava ai lati la strada e la distanza tra le due file era così corta da rendere evidente la pericolosità per il transito dei veicoli. Sicuramente un’auto per sorpassare una bici doveva invadere la corsia opposta.

Dal ponte di Maccione alla rotonda della Casetta Rossa ci sono 2 dei 9 chilometri e mezzo dell’intero percorso, però quei 2 chilometri attraversano un territorio estremamente affascinante per chi può liberamente vedere con occhi che vanno a 20 km/h sospinti solo dal motore delle tue gambe e non viziati dallo schermo del parabrezza…

Vetri rotti, camion, pozze giganti a parte, la strada di giorno in giorno fornisce continui spunti per chi sappia osservare fra le sue contraddizioni. Di anno in anno la collinetta della discarica è divenuta sempre più verde, e a giugno si colora di giallo per la fioritura di quelle che sembrano ginestre. Col tempo alcune delle vecchie fabbriche occupate poste lungo la strada sono state demolite, e i terreni liberi sono stati nuovamente occupati da animali e attività “agropastorali”. Ormai è normale vedere un paio di greggi di pecore che pascolano liberamente sui prati, seguite dalle garzette (piccoli aironi bianchi) che approfittano del loro passaggio per piluccare gli insetti. Così come è normale veder volare i fagiani, oppure le gallinelle d’acqua nel canale laterale, sempre meno puzzolente. Attività tradizionali si insinuano adattandosi negli spazi abbandonati dall’industria. Spesso portata da immigrati che riportano qua quello che facevano a casa loro (vedi la pastorizia). L’antica vocazione della Piana (lo sai che nella rete dei canali di drenaggio si riconoscono ancora le centurie della bonifica dei tempi di Roma?) torna sempre fuori e resiste all’innovazione.

Ed eccoci alla rotonda della Casina Rossa. E pensare che prima c’era un semaforo. Ci racconti un po’ la storia di questa rotonda?

Per anni si è parlato di risolvere i problemi di traffico che provocava l’incrocio fra la via Lucchese e la via del Cantone (dove c’era un semaforo) realizzando una rotonda. Negli anni ’90 ero consigliere provinciale, la cosa tornava periodicamente in commissione, in quanto la realizzazione della rotonda era pregiudicata dalla presenza della casetta rossa dell’Anas. Il progetto, infatti, faceva centro sull’incrocio, e la circonferenza che ne usciva inevitabilmente la comprendeva, rendendo necessario espropriarla per poterla demolire. Essendo proprietà demaniale, i problemi burocratici erano immensi. Finché un giorno, in commissione di fronte alle planimetrie io e un altro consigliere buttammo li che forse si poteva risolvere il problema spostando il centro del cerchio poco a nord. La proposta venne accolta con malcelata irritazione da parte dei tecnici che la liquidarono con motivazioni poco convincenti. Per fortuna un assessore stato sindaco, sicuramente più portato alla ricerca di soluzioni pratiche, la rilanciò, e magicamente tutti i problemi scomparvero. E oggi, se guardate su “Googlemap” la rotonda, vedete che è decisamente a nord dell’intersezione originaria, e che la Casetta Rossa è ancora al suo posto.

Dalla partenza al teatro fino all’imbocco fiorentino di via Baracca ai lati della strada ci accompagnano dei bei Platani oggetto di recenti potature. Il platano è una bella pianta che ci lascia appena entriamo decisamente nel traffico cittadino di Firenze. Lo ritroveremo più tardi. All’altezza di via del Barco, al settimo chilometro, voltiamo a destra perché al caos uniformemente grigio di via Baracca preferiamo la repubblica libera del colore verde del Parco delle Cascine. A metà del viale dell’Aeronautica, a lato del Prato del Quercione, notiamo tra gli alti fusti di un platano un cestello aereo con un operaio che prosegue la potatura. In piazza Puccini il contachilometri segna 9 chilometri e mezzo precisi, precisi.

Nove chilometri e mezzo a una media di 20 Km all’ora sono 30 minuti. Il tempo di 10 canzoni. Leonardo immagino che ascolterai musica mentre pedali.

Musica sempre, salvo che non sia ora del Pentasport ed allora decido di soffrire ascoltando i commenti sulla Viola. Ascolto di tutto da Morricone a Franco126, che è un rapper con testi interessanti. Ti consiglio il suo singolo Stanza singola.

Lo ascolterò, mi fido. Ma che ora sono? Cavolo, è tardi. Ci si fa a prendere un altro caffè?

No, Giovanni ‘un ci si fa. Peccato. Ci si becca all’Osmannoro in bici.

Giovanni Grossi