“Il libro del rifugio” – I treni e le rose: vogliamo tornare a sentire il fischio della locomotiva

PIANA FIORENTINA – “Le stazioni sono una mia vecchia passione. Potrei passarci giornate intere, seduto in un angolo a guardare quello che succede. Quale altro posto, meglio di una stazione, riflette lo spirito del paese, lo stato d’animo della gente, i suoi problemi?”. No, non sono parole mie, anche se rispecchiano fedelmente il mio pensiero. […]

PIANA FIORENTINA – “Le stazioni sono una mia vecchia passione. Potrei passarci giornate intere, seduto in un angolo a guardare quello che succede. Quale altro posto, meglio di una stazione, riflette lo spirito del paese, lo stato d’animo della gente, i suoi problemi?”. No, non sono parole mie, anche se rispecchiano fedelmente il mio pensiero. Sono di Tiziano Terzani, attuali più che mai. Basta pensare infatti alle stazioni ferroviarie di poco più di un mese fa, quasi tutte simili a un “formicaio”, e osservarle oggi, completamente deserte per rendersi conto dello “schiaffo” che il Covid-19 (ironia della sorte, sembra quasi il nome di un treno…) sta dando al nostro paese. Un paese che ora, però, ha bisogno di rialzarsi e riprendere il proprio cammino. Magari, inizialmente, a fatica. Magari non subito. Ma ha necessità di farlo e di sentire fischiare di nuovo la locomotiva. Perché sono partito dalle stazioni? Innanzitutto perché figlio di un ferroviere, anzi di un capostazione. E poi perché proprio ieri, su Facebook, che per fortuna fornisce anche degli ottimi spunti di riflessione, soprattutto in questo periodo, mi hanno colpito molto le parole scritte da un altro capostazione, Fortunato il suo nome, da uno di quelli “vecchio stampo” (non c’è alcun riferimento all’età, non mi permetterei mai), uno di quelli che “quando c’era un errore, si segnava con la penna rossa”, vero Rossella?. Parole che, nonostante, sono un bel messaggio di speranza: “Una volta, di questa stagione, nelle stazioni incontravate le rose. Le rose delle stazioni non erano rose comuni, chiuse in un giardino e appena intraviste attraverso un cancello. Le rose delle stazioni avevano ammiratori, spasimanti e anche qualche innamorato geloso. Avevano sempre qualcuno che le ammirava, scambiava pensieri senza dire parole, si soffermava, le guardava e qualche volte le avvicinava. Qualcuno aveva l’ardire di una carezza, sfiorandole appena. Ma poi succedeva che alcuni volessero sentire da vicino il loro profumo. Le rose delle stazioni amavano molto quel gesto che tutti usavano fare cingendo lo stelo. Era come un abbraccio e non importava chi lo facesse, se fatto con garbo. Poi c’erano quelli che per forza maggiore le dovevano guardare da lontano. Colleghi alla guida del treno che dopo averle guardate, d’istinto, azionavano il fischio per fare un saluto di intesa. Vi ho ritrovate anche quest’anno rose delle stazioni, la vita continua. Primavera 2020, al tempo del Covid-19”.

Un’unica aggiunta: a proposito di ferrovieri, alla stazione di Signa c’è un museo di oggettistica ferroviaria che, appena sarà finita questa emergenza, vi consiglio di visitare. E c’è un’associazione di ex ferrovieri (ex fino a uno certo punto, ferrovieri lo sono e lo saranno per sempre), guidata da Salvatore Leoni. Persona che hanno ancora tanto da dire e da “dare”.

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