“Il libro del rifugio” – Siamo tutti un picchio nero. Da ieri sera ancora di più

PIANA FIORENTINA – Nonostante all’inizio di questa avventura la primavera fosse alle porte (le misure più restrittive sono dell’inizio di marzo), sembrava di essere ancora in pieno inverno. E il cinguettio degli uccellini che si sente ora, soprattutto la mattina e nel tardo pomeriggio, complice anche qualche finestra aperta in più rispetto ad allora, era soltanto […]

PIANA FIORENTINA – Nonostante all’inizio di questa avventura la primavera fosse alle porte (le misure più restrittive sono dell’inizio di marzo), sembrava di essere ancora in pieno inverno. E il cinguettio degli uccellini che si sente ora, soprattutto la mattina e nel tardo pomeriggio, complice anche qualche finestra aperta in più rispetto ad allora, era soltanto un ricordo della passata stagione. Anche la mia tartaruga dove uscire dal letargo e pareva quasi che ci fosse “solo” la civetta delle ore notturne a tenermi compagnia. Stagioni che cambiano, stati d’animo diversi. Solo il silenzio della sera è rimasto lo stesso di allora, un silenzio “terreo”, che sembra quasi soffocare. Un silenzio che però, se vogliamo trovare qualcosa di positivo, concilia sicuramente la lettura, mai così intensa come in queste settimane. Ed ecco che la civetta, seppur idealmente, ha lasciato il posto al picchio nero. Che, sinceramente, non conoscevo neanche io ma della cui esistenza sono venuti a conoscenza leggendo il libro scritto a quattro mani da Mauro Corona e Matteo Righetto per Mondadori e uscito in libreria pochi mesi fa: “Il passo del vento – Sillabario alpino”. Un libro in cui due scrittori, alternandosi, raccontano dalla A alla Z quello che è il loro “alfabeto” della montagna; montagna che, ormai si sarà capito, torna spesso nei miei racconti. E alla lettera P, fra le altre cose, troviamo la descrizione, da parte di Righetto, del picchio nero. Il modo migliore, le sue parole, per concludere il mio cammino verso il rifugio quotidiano. “Il picchio nero vive quasi esclusivamente nelle foreste alpine. E rappresenta l’esempio perfetto di come non ci si debba mai arrendere di fronte alle difficoltà. Il picchio infatti sceglie di scavare il proprio nido sui tronchi di alberi molto grandi e privi di rami bassi, e quando individua la posizione migliore, comincia a percuotere la corteccia del fusto usando una tale forza e un tale tenacia da lasciare stupefatto chiunque. Simbolo di caparbietà e determinazione, questo volatile ha molto da insegnarci. Non arrendiamoci mai alle prime difficoltà, e se una cosa ci sembra dura e coriacea, tiriamo fuori lo spirito del picchio nero. Presto o tardi ce la faremo.

Ps: questo testo è stato scritto prima della conferenza stampa del presidente del Consiglio di ieri sera, al termine della quale, più che di un picchio nero, avrei dovuto parlare di un’aquila reale…

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