“Il sesso degli angeli”, il nuovo film di Pieraccioni vuole essere un bilancio sui suoi (quasi) 60 anni, ma anche sulla vita di ognuno di noi

CAMPI BISENZIO – Atteso inizialmente per il mese di febbraio, è arrivato finalmente nelle sale cinematografiche il nuovo film di Leonardo Pieraccioni, “Il sesso degli angeli”. Film che è stato presentato – e proiettato – ieri al Cinema Uci Luxe di Campi Bisenzio e che ha visto la presenza dello stesso attore e regista e […]

CAMPI BISENZIO – Atteso inizialmente per il mese di febbraio, è arrivato finalmente nelle sale cinematografiche il nuovo film di Leonardo Pieraccioni, “Il sesso degli angeli”. Film che è stato presentato – e proiettato – ieri al Cinema Uci Luxe di Campi Bisenzio e che ha visto la presenza dello stesso attore e regista e di tre di ragazze che fanno parte del cast. E se Sabrina Ferilli e Marcello Fonte sono i protagonisti indiscussi della pellicola “che vuole rispecchiare anche il bilancio della mia età”, ha detto Pieraccioni a fine proiezione, citazione d’obbligo per Gabriela Giovanardi, Eva Moore, Maitè Yanes, Valentina Pegorer e Giulia Perulli (le cinque ragazze) ma anche per Bruno Santini, Gaia Nanni, Alessio Scali e naturalmente Massimo Ceccherini. Per un film che racconta la storia di don Simone, parroco della Chiesa degli Angeli a Firenze (in realtà la chiesa di San Salvi), da ristrutturare e con pochi, ma fidati, fedeli. Si tira avanti, come dice lui, ma le difficoltà sono tante, forse troppe. Almeno fino a quando, inaspettatamente, riceve una notizia, ovvero che lo zio Waldemaro gli ha lasciato in eredità una fruttuosa attività in Svizzera, a Lugano. Sembra proprio l’occasione perfetta per risollevare le sorti del suo oratorio. Ma l’attività in questione è un elegante club di appuntamenti per adulti…

“Il mio prete nel film – ha scritto di recente Pieraccioni sulla propria pagina Facebook – è ispirato a quei preti di frontiera, di strada, che fanno e che non stanno a guardare. Quelli che avvicinano la gente con il parlare semplice e che non allontanano i ragazzi con troppi “mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa”. Il mio amico don Giuliano è uno di quelli. Ogni tanto mi sbuca davanti all’improvviso da dietro un cespuglio e con i suoi occhietti vispi, mi punta e mi chiede: “che si fa, che si fa?”…”. Un po’ don Giuliano e un po’ don Cuba, ricordando don Danilo Cubattoli, il “prete volante”, per una storia nata praticamente per caso, all’interno della quale “i temi del dubbio e della redenzione vanno a braccetto”. Questo perché “glia argomenti alti, quando hai il “patentino di Pierino la peste”, li puoi trattare senza problemi, se lo facesse Bellocchio, chiamerebbero la Polizia (sorride)…”.

“Quando ho detto la mia idea a Filippo Bologna (che del film è il co-sceneggiatore, n.d.r.), abbiamo riso subito e tanto. Ma quando ti avvicini ai sessant’anni cominci a farti delle domande e il mio personaggio si chiede se ha fatto bene o ha fatto male. E in questo viene aiutato da una sorta di diavoletto, interpretato da Massimo Ceccherini. Ma noi si vuole solo far divertire la gente e quando mi dicono, dopo che hanno visto uno dei miei film, “mi hai fatto stare bene un’ora e mezzo, è quello il vero David di Donatello che vinciamo. Personalmente, poi, quando sono andato in chiesa ho sempre sentito dentro di me qualcosa di importante e don Simone “incarna” il personaggio delle piccole e grandi valutazioni della vita di ognuno di noi. In fondo mi considero fra San Tommaso e Margherita Hack, che aveva un’eleganza feroce. Come finirà con Dio? Da buon cabarettista gli direi che ci ho sempre creduto…”.

Il film insomma vive tutto sul “confine” fra rimettersi in gioco e restare in carreggiata e “contiene anche un po’ di “Aggiungi un posato a tavola”, che per quanto mi riguarda, con la scena della colomba che si appoggia sulla sedia, è il capolavoro totale. L’ho detto al mio amico Dorelli, dentro al film c’è tutto l’amore per quella commedia”. Ma il cinema è sempre stato una voce libera, usa spesso la provocazione, l’umorismo, il paradosso. E dovrebbe restare così”.