La catena umana del terziario: imprenditori uniti per chiedere di far convivere salute e lavoro

FIRENZE – Una catena umana per chiedere di far convivere salute e lavoro. Il segno tangibile, un altro, che in tanti, troppi ormai non ce la fanno più ad andare avanti dopo un anno di altrettanto fin troppe parole. Adesso servono i fatti, serve la concretezza, servono provvedimenti nei confronti di alcune categorie che purtroppo […]

FIRENZE – Una catena umana per chiedere di far convivere salute e lavoro. Il segno tangibile, un altro, che in tanti, troppi ormai non ce la fanno più ad andare avanti dopo un anno di altrettanto fin troppe parole. Adesso servono i fatti, serve la concretezza, servono provvedimenti nei confronti di alcune categorie che purtroppo stanno risentendo oltre misura a causa dell’emergenza sanitaria. La catena umana è quella che ha dato vita oggi, lunedì 1 marzo, a Firenze e, in contemporanea, in altre dieci città toscane, alla mobilitazione “Salviamo le imprese”, organizzata da Confcommercio Toscana e Confesercenti Toscana per rivendicare una diversa gestione dell’emergenza pandemica, in grado appunto di conciliare diritto alla salute e diritto al lavoro.  

A Firenze la manifestazione, statica, composta e silenziosa, ha visto una “catena umana” lunga poco meno di un chilometro snodarsi nel cuore della città, da via Verdi fino a piazza del Duomo. A comporla oltre 400 imprenditori, professionisti e dipendenti delle imprese del terziario di tutta la provincia, che – uniti simbolicamente da un nastro tricolore, ma distanziati l’un l’altro come vogliono le normative di sicurezza anti Covid – hanno voluto manifestare pubblicamente la propria sofferenza e le difficoltà in cui vivono ormai da un anno, potendo lavorare solo a scarto ridotto (ad esempio, i pubblici esercizi) o addirittura per nulla (il mondo dello sport, dello spettacolo, degli eventi e dell’intrattenimento). 

Con un documento finale, consegnato al Prefetto di Firenze, Alessandra Guidi, lo stesso che, sempre in contemporanea, è stato consegnato ai prefetti di tutte le altre città della nostra regione coinvolte nella mobilitazione e che contiene dieci richieste: ristori immediati parametrati sulla perdita di fatturato, riapertura immediata in sicurezza di tutte le attività chiuse, moratoria fiscale per gli anni 2020 e 2021, proroga della cassa integrazione e della moratoria dei mutui e finanziamenti fino al 31 dicembre 2021, rimodulazione delle locazioni commerciali e blocco degli sfratti, taglio del cuneo fiscale che grava sulle imprese, creazione di un piano “ripartenza” per il terziario, vaccinazione immediata di imprenditori e addetti del terziario, pagamento immediato di tutti i bonus ristori e degli indennizzi sospesi, passaporto sanitario europeo per spostamenti all’interno dell’Unione Europea.  

“Se il Governo continua, dopo un anno, a non garantire il diritto al lavoro in nome della salute, avrà sulle spalle la responsabilità civile, morale e sociale della distruzione economica del nostro Paese”, hanno detto con fermezza i presidenti di Confcommercio Firenze Aldo Cursano e di Confesercenti Firenze Claudio Bianchi, che hanno coordinato la manifestazione fiorentina insieme ai loro direttori Franco Marinoni e Alberto Marini. I dirigenti delle due associazioni di categoria hanno dato il via al “flash mob” proprio di fronte al ristorante La Maremma di via Verdi, diventato luogo-simbolo della disperazione degli imprenditori dopo l’estremo gesto del suo titolare, che si è tolto la vita nell’agosto scorso e che è stato ricordato anche da sua moglie, presente alla mobilitazione di stamani. E ad un altro imprenditore tragicamente scomparso nei giorni scorsi, l’agente di viaggio di Seano, i colleghi fiorentini hanno voluto rendere omaggio con una corona posta lungo il percorso. I dirigenti di Confcommercio e Confesercenti hanno quindi camminato insieme lungo le strade lungo le quali si snodava la “catena umana”: piazza Salvemini, Borgo degli Albizi, via del Proconsolo, fino ad arrivare in piazza Duomo 10, di fronte alla Presidenza della Regione Toscana, dove erano attesi dall’assessore alla attività produttive Leonardo Marras, che ha espresso la solidarietà del governo regionale alle ragioni della protesta. Infine, si sono recati in Prefettura per consegnare nelle mani del Prefetto Alessandra Guidi il documento unitario.  

“Dieci richieste ma che possono riassumersi in due principali: poter tornare tutti al lavoro, pur con le regole e limitazioni imposte dalla necessità di arginare la pandemia, e – laddove questo non fosse possibile – avere ristori dignitosi e sufficienti per tirare avanti continuando a garantire l’occupazione”, dicono i presidenti Cursano e Bianchi. “L’emergenza pandemica non è più solo sanitaria, ma è diventata anche economica, in maniera sempre più drammatica con il passare dei mesi”, si legge nella premessa del documento unitario di Confcommercio e Confesercenti, “abbiamo accettato con grande senso di responsabilità tutte le misure di sicurezza che venivano imposte alle nostre attività dal Governo, investendo tempo e denaro. Ma la pandemia non si è arrestata e pare purtroppo ancora lontano il momento in cui potremo dirci completamente fuori dal pericolo. Il piano vaccinale va avanti ancora troppo lentamente e le nostre imprese continuano ad arrancare attingendo ai risparmi personali (i pochi rimasti) dei titolari, ai fidi bancari (che vengono erogati sempre meno) e ai pochi ristori arrivati dal Governo e dalla Regione Toscana”. 

Da qui la fortissima preoccupazione “per il futuro delle nostre imprese ma anche per quello dell’occupazione, soprattutto alla luce dell’eventuale sblocco al divieto dei licenziamenti”. Poi, gli interrogativi che restano ancora aperti. Su tutti, uno: “non comprendiamo perché, di tutti i settori economici esistenti, solo il nostro sia stato colpito così duramente dalle restrizioni e dalle chiusure. Mentre interi comparti del terziario sono stati completamente bloccati (si vedano le palestre, i cinema, i teatri, le discoteche, il settore degli eventi) o possono lavorare solo a singhiozzo e a regime ridotto (ad esempio, i pubblici esercizi o i negozi di moda), imprese di altri settori sono rimaste ferme solo per poco più di 15 giorni. Come se il pericolo di assembramenti e contagi riguardasse esclusivamente le aziende ed i lavoratori del terziario”. “Lo Stato – prosegue il documento – non può scaricare sulle nostre spalle tutto il peso di una situazione drammatica, come se la diffusione del contagio dipendesse dalla nostra attività. Se così fosse, la pandemia sarebbe già conclusa da tempo, invece i contagi continuano anche quando le nostre aziende sono chiuse. Le nostre attività si svolgono in luoghi controllati e controllabili. Se è necessario il vaccino, chiediamo di essere vaccinati. Se si devono rivedere i protocolli, siamo pronti a rivederli. Ma questo deve servire a ridarci la dignità del lavoro” 

“Noi siamo convinti che salute e lavoro possano e debbano convivere. Ma, soprattutto, pensiamo che “il futuro non si chiude”: dobbiamo quindi imparare a convivere con la pandemia, mettendo in atto – se necessario – misure ancora più restrittive per regolare le nostre attività, ma senza bloccarle totalmente, nel rispetto di quel diritto al lavoro sancito dall’articolo 4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società”.