CAMPI BISENZIO – “La Chiesa nella città. Segno & via per il bene comune” è l’ultimo libro scritto, in questo caso per le Edizioni Ares, da don Giovanni Momigli. Che questa mattina è stato intervistato da Radio Vaticana proprio per presentare la sua ultima fatica letteraria. Qui di seguito don Momigli ci spiega e spiega ai nostri lettori il “perchè” del libro e subito dopo trovate il link della sua intervista. Un’occasione importante per fare in modo che il periodo estivo possa servire per alimentare anche lo spirito e il pensiero, oltre che il fisico, in un mondo sempre più carente di pensiero (l’intervista inizia al minuto 28).
Perché ha scritto questo libro? Prima di tutto perché, oggi, sia la Città sia la Chiesa, con motivazioni simili e diverse e in parte intersecate, sono chiamate a una rivoluzione possibile e necessaria: quella di costruire comunità, rifacendo il tessuto relazionale, civico ed ecclesiale.
L’umanesimo di cui il mondo ha urgente bisogno, ritengo possa essere coltivato proprio riscoprendo il valore della relazione e della comunità.
È necessario riscoprire il proprio essere popolo. Un popolo plurale che sviluppa la cultura dell’incontro e cammina insieme, dove il senso di appartenenza coinvolge e responsabilizza, cogliendo le diversità di ciascuno come risorsa per il bene di tutti.
In secondo luogo, perché esiste un’intima connessione tra annuncio del Vangelo e servizio all’uomo nella sua concretezza storica; uno stretto legame tra edificazione della Chiesa, nella quale è vivo e presente il Cristo risorto, e la costruzione della città degli uomini redenti dallo stesso Cristo morto e risorto.
La fede è personale, ma proprio perché personale, e non individuale, non può essere pensata, vissuta e consolidata individualisticamente, ma solo nell’ambito di una relazione, in un contesto comunitario.
Per questo il credente non può non sentirsi impegnato nella costruzione della comunità cristiana e nel contribuire a edificare la Città – ponendosi come fermento nella vita sociale, politica, culturale, economica – e che, nello stesso tempo, deve attenderla con speranza, perché l’opera è più grande di quello che viene affidato alle sua mani. Non solo perché, nella sua pienezza, la città «scende dal cielo, da Dio» ((Ap. 3,12b; 21,2), ma anche perché ciascuna generazione – ciascuna persona – opera su quello che le è stato consegnato dalle generazioni precedenti e lascerà alle generazioni successive il compito di proseguire anche il proprio lavoro.
La fede, quindi, ha anche una dimensione politica?
Gesù Cristo è il Signore! Questa è certamente un’affermazione di fede, ma ha anche un risvolto politico. Il riferimento a Cristo, unico Signore, libera da ogni sudditanza e impedisce di idolatrare ciò che è umano, siano persone o partiti o movimenti. Inoltre, spinge a operare per affermare le ragioni sociali e politiche di una convivenza fondata su umanità e fraternità. Ed è anche la chiave per un’autentica laicità, a partire dal linguaggio: più un cristiano è radicato nella fede in Cristo, più avrà la maturità necessaria per collocarsi nello spazio pubblico rispettando ruoli, competenze, responsabilità.
La città è l’ambito in cui dare sostanza alla propria fede e dove si è chiamati alla fede e a una continua conversione, operando per l’umanizzazione del mondo tenendo fermi due poli di ascolto e di riferimento: la parola di Dio e la voce, meglio, le voci della città.
La comunità cristiana può dunque aiutare questo nostro Paese a rintracciare i fondamenti della convivenza e del confronto sociale e politico, facendo ritrovare alla politica la P maiuscola che sembra perduta?
Può farlo, ma deve anzitutto superare le diffuse e radicate tentazioni di autoreferenzialità, che si manifestano nell’abitudine, che sempre seduce, e nel promuovere iniziative quasi esclusivamente per rispondere alle esigenze dei praticanti.
La vita della comunità ecclesiale, compresa la presenza nella vita della città della comunità cristiana in quanto tale e dei fedeli laici in modo specifico, esige di ritornare all’essenziale, che è l’annuncio del Regno di Dio e della sua giustizia, che presuppone la centralità della persona e del bene comune. L’essenziale rende liberi e creativi. Perdere di vista l’essenziale porta a chiudersi e a regredire, mettendo al centro simboli e sovrastrutture che sono solo frutto d’incrostazioni storiche e niente hanno a che fare con il fondamento.
La comunità cristiana può offrire alla città il proprio specifico contributo all’urgente ricostruzione del tessuto relazionale della comunità civica, non tanto e non solo affermando la dimensione sociale della persona e richiamando i valori cardine della convivenza, quanto rifacendo con urgenza e determinazione il tessuto cristiano delle comunità ecclesiali, coltivando quotidianamente la cultura dell’incontro, la valorizzazione del giorno dl Signore, la dimensione educativa.
Più direttamente potrebbe promuovere Laboratori o Forum civici di approfondimento e di confronto per il bene comune, non solo per i cattolici.
La necessità di rimettere al centro la persona e l’elaborazione di un pensiero, capace di diventare cultura e prassi quotidiana, è una sfida che può essere positivamente affrontata solo attivando processi che coinvolgano le persone in modo ampio, trasversale.
Don Giovanni Momigli