La porcellana di Doccia e le lapidi dei cimiteri: forse non tutti sanno che…

SESTO FIORENTINO – Il vanto di Sesto Fiorentino è giustamente quello di essere un centro ceramico di notorietà nazionale e internazionale da quando nel 1737, il Marchese Carlo Ginori dette avvio, nel popolo di San Romolo a Colonnata, della podesteria di Sesto, alla produzione della porcellana, in una villa di Doccia località dove i Ginori […]

SESTO FIORENTINO – Il vanto di Sesto Fiorentino è giustamente quello di essere un centro ceramico di notorietà nazionale e internazionale da quando nel 1737, il Marchese Carlo Ginori dette avvio, nel popolo di San Romolo a Colonnata, della podesteria di Sesto, alla produzione della porcellana, in una villa di Doccia località dove i Ginori disponevano di alcune residenze signorili, di vasti possessi agricoli e potevano contare sulla disponibilità d’acqua indispensabile per le operazioni richieste dalla lavorazione delle terre necessarie nella produzione ceramica.

Oggi un numero sempre più vasto di pubblicazioni di studiosi italiani e stranieri è disponibile per conoscere i pregi e le caratteristiche della produzione della storica manifattura. Fra queste è da ricordare quella, fondamentale per la storia della fabbrica, dal titolo “La porcellana di Doccia”, edita nel 1963 opera del Marchese Leonardo Ginori Lisci, discendente del fondatore della manifattura, frutto delle approfondite ricerche condotte dall’autore dell’archivio del proprio palazzo fiorentino in via de’ Ginori e in quello della società Richard Ginori di Sesto Fiorentino.

I risultati di quelle scrupolose indagini hanno, fra l’altro, contribuito a far conoscere la vera data d’inizio della produzione di Doccia, fino a quel momento fissata all’anno 1735, da considerare spostata , in base a documenti di archivio, al 1737, nonché a collocare in giusta evidenza il valido apporto alle operazioni richieste dalla produzione, dei più giovani coloni della fattoria di Doccia, affiancati e guidati da esperti di nazionalità austriaca nella lavorazione delle terre e nella conduzione dei forni.

Tuttavia anche successivamente al 1963 altri studi ed approfondite analisi, rivolte principalmente a rivelare particolari aspetti stilistici della produzione di Doccia, sono stati pubblicati in edizioni assai curate, ricche di illustrazioni in bianco e nero e a colori, ma nonostante questo intervento critico, un aspetto, benché marginale, di quanto eseguito a Doccia nel corso del XIX e dell’inizio del XX secolo, è passato pressoché inosservato: quello della lapidi funerarie in porcellana ancora, fortunatamente, rintracciabili nel cimitero Maggiore di Sesto Fiorentino e nel vicino camposanto parrocchiale della chiesa di San Michele a Castello località già frazione del Comune di Sesto Fiorentino, assorbita dal 1929 nel territorio del Comune di Firenze.

Queste memorie dipinte, dedicate ai defunti, valide espressioni di arte popolare, non hanno trovato, salvo nel corso dei due primi decenni del secolo scorso, occasione di diffusione, soprattutto in conseguenza della progressiva trasformazione, nel cimitero comunale, dell’assetto dei loculi secondo un criterio di uniformità che ha contribuito in modo determinante alla rimozione dei più antichi ricordi funerari.

Affinché non scompaia del tutto la memoria di questa consuetudine, collegata alla produzione della porcellana di Doccia, la Società per la Biblioteca Circolante di Sesto Fiorentino ha documentato fotograficamente quanto ancora è possibile rintracciare di queste testimonianze d’arte.

Occorre premettere, tuttavia, come, all’inizio dell’Ottocento, in conseguenza del divieto di tumulare i morti nelle chiese, imposto per validi motivi igienici dal granduca di Toscana, anche il Comune di Sesto Fiorentino dovette provvedere, nel 1837, ad approntare un cimitero, che trovò realizzazione in prossimità della Pieve di San Martino, nel terreno agricolo racchiuso fra il torrente Rimaggio e l’antica via detta delle Fornaci, quando ancora non era stata avviata la costruzione della piazza del Municipio ora piazza Vittorio Veneto.

Fu anche stabilito dall’autorità comunale, che il primo riquadro a destra entrando nel cimitero, venisse destinato alla parrocchia di Colonnata, senonché questa soluzione non fu gradita da quei parrocchiani che provvidero tempestivamente a costruire, adiacente alla loro chiesa, in quell’anno medesimo, un proprio camposanto.

E’ probabile che le più antiche lapidi in porcellana in ricordo dei defunti (in massima parte ex lavoranti nella fabbrica) si trovassero proprio in quel cimitero dove, inserita alla sommità del cancello di ingresso in ferro situato al limitare della strada, era in vista una targa in porcellana nella quale figurava questa significativa iscrizione: “ O voi che vivete/ gli sguardi a noi volgete/ e ciò che siamo noi/ un dì sarete voi”.

Con la costruzione, nel 1884, del cimitero Maggiore di Sesto, realizzato in vicinanza di Quinto, in margine al torrente Zambra, con accesso dalla strada provinciale ora via Antonio Gramsci, vennero da quello stesso anno interrotte le tumulazioni nei due vecchi camposanti che furono progressivamente smantellati e, dopo circa quarant’anni, nell’area occupata dall’impianto cimiteriali di Sesto fu realizzata la via Azzarri, con l’adiacente piazza del Mercato, mentre dove sorgeva lo spazio del piccolo cimitero di Colonnata ritornava alla precedente utilizzazione agricola.
Per questi motivi, la datazione delle lapidi in porcellana ancora esistenti risulta compresa fra la fine del XIX secolo e i primi due decenni del Novecento.

Molto interessanti risultano anche le epigrafi dedicate per lo più a madri e mogli devote e a bambini precocemente scomparsi, che con loro citazioni sono lo specchio della vita culturale e letteraria dell’Italia di fine Ottocento, oscillante fra la poesia romantica e la sensibilità di un Pascoli e la lezione classica dei “Giambi” del Carducci.

Stefano Taddei