Lapo Cantini (Confesercenti): “Pitti e quella nostalgia canaglia degli anni Ottanta…”

FIRENZE – “Pitti Uomo” ha chiuso i battenti da poco. E’, quindi, tempo di bilanci. Sulla manifestazione “regina” della moda in città, e non solo, pubblichiamo questa interessante riflessione di Lapo Cantini, responsabile della comunicazione per Confesercenti Firenze. Una riflessione che condividiamo appieno, soprattutto in riferimento alla “nostalgia canaglia” per gli anni Ottanta. Un periodo […]

FIRENZE – “Pitti Uomo” ha chiuso i battenti da poco. E’, quindi, tempo di bilanci. Sulla manifestazione “regina” della moda in città, e non solo, pubblichiamo questa interessante riflessione di Lapo Cantini, responsabile della comunicazione per Confesercenti Firenze. Una riflessione che condividiamo appieno, soprattutto in riferimento alla “nostalgia canaglia” per gli anni Ottanta. Un periodo che, si voglia o no, ha rivoluzionato in modo tangibile il nostro modo di vivere e di pensare.

Anche questa edizione di “Pitti Uomo” conferma un trend ormai consolidato: calo (anche consistente) del mercato italiano, sostanziale tenuta sui mercati esteri. Lo dicono i dati ufficiali: la riduzione di buyers italiani quest’anno ha lambito la ragguardevole percentuale dell’8% rispetto alla stessa edizione del 2018 (da 15.800 a 14.600). Un dato in linea con quello fornito dallo stesso Raffaello Napoleone, amministratore delegato di “Pitti Uomo”, secondo cui, negli ultimi 5 anni, il mercato interno dei prodotti moda si è eroso di circa 15 punti percentuali, non poco. Questi dati fanno riflettere perché nella piccola crisi di Pitti (almeno sul fronte interno), non si può non vedere anche quella del nostro Paese e soprattutto della sua classe media, un tempo motore dell’economia nazionale e oggi purtroppo alquanto ridimensionata dal “combinato disposto” globalizzazione/rivoluzione digitale.

Le difficoltà di Pitti sono esattamente le stesse delle migliaia di piccole impresa moda e abbigliamento che una volta costituivano l’ossatura della catena distributiva del “Made in Italy” e che hanno visto, negli ultimi anni, progressivamente ridursi fatturati e volumi di vendita.

Per la GDO, gli outlet, il commercio elettronico certo. Ma soprattutto perché il loro “core business” (professionisti, impiegati e dirigenti servizi, piccoli e medi imprenditori, giovani di belle speranze e con il posto fisso) si è impoverito e non poco. Per l’aumento della pressione fiscale, l’incertezza del lavoro, la progressiva digitalizzazione delle procedure operative e decisionali. E’ un processo irreversibile, globale e transnazionale che mira al trasferimento di una consistente parte di ricchezza accumulata nel vecchio continente ad alcuni paesi emergenti di quello che una volta veniva comunemente chiamato “Terzo Mondo”. Un pezzo enorme di Pil che, trasferendosi altrove, finisce per essere intercettato da ristretti gruppi di potere politico, finanziario ed economico: la nuova elite di un mondo sempre più diseguale.

Ecco, paradossalmente, proprio in questa oligarchia Pitti trova quei pochi (ma facoltosi clienti) che compensano i tanti (ma sempre più poveri) italiani costretti a passare dalla boutique griffata a Zara, H&M e Primark. Esattamente questo pensavo, nei giorni scorsi, mentre, aggirandomi tra gli stand della manifestazione, mi imbattevo in un crescente sequenza di marchi e prodotti che richiamavano, anche del tutto intenzionalmente, gli anni ’80 della “Milano da Bere”.Una moda del momento? Può darsi. Ma forse, più o meno coscientemente, la “nostalgia canaglia” per un mondo che non tornerà più e che ci manca terribilmente. Al mondo della moda, ai buyers di Pitti… ma anche a noi.

Lapo Cantini, responsabile comunicazione Confesercenti Firenze