Lo chef Alessi, sestese, e la sua cucina antica

FIRENZE – Come avrebbero mangiato i ministri italiani nel 1865, quando si sono insediati a Firenze, appena proclamata capitale? Nelle sale di Palazzo Vecchio avrebbero probabilmente gustato una cena molto speziata, con aromi e profumi intensi, piatti in cui il sapore è una composizione difficilmente scomponibile nei singoli ingredienti. Un modo di mangiare per certi […]

FIRENZE – Come avrebbero mangiato i ministri italiani nel 1865, quando si sono insediati a Firenze, appena proclamata capitale? Nelle sale di Palazzo Vecchio avrebbero probabilmente gustato una cena molto speziata, con aromi e profumi intensi, piatti in cui il sapore è una composizione difficilmente scomponibile nei singoli ingredienti. Un modo di mangiare per certi versi opposto a quello di oggi, in cui vengono utilizzati generalmente pochi ingredienti e in una maniera tale che si riescano a distinguere nettamente.

A immaginare e a far gustare questo esperimento storico e gastronomico è stato lo chef Giuseppe Alessi, sestese classe 1937 e patron dello storico ristorante “La pentola dell’oro” in via di Mezzo a Firenze. Ad aiutarlo nella preparazione di questa cena ottocentesca, realizzata in collaborazione con il progetto regionale Vetrina Toscana, lo chef pugliese Giuseppe Morgese arrivato insieme alla nuova gestione del locale. Alessi, nato a Sesto, ceramista, musicista, scrittore (rigorosamente a mano) e infine cuoco, ha una sua idea “anti moderna” di come affrontare la vita, e la cucina. Le sue sono cotture lente (due giorni per realizzare il brodo di fagiani, pernici e pollo, temperature mai al di sopra dei cento gradi), fatte di studio e ricerche.

Per realizzare la cena ottocentesca di ieri sera, Alessi ha consultato ovviamente Artusi, da cui non si poteva prescindere, ma anche le carte dell’Accademia dei Georgofili, e un testo del 1845 “La cuciniera moderna”. La storia, del resto, si fa anche a tavola e per partire nel racconto Alessi ha iniziato dai “Principii”: il Baccalà Monte Bianco alla Bottarga (Artusi, 1891) e un Buden piccante di patate su colì di pomodoro (Georgofili 1798).

La minestra scelta dallo chef era un connubio di spezie e odori intensi, ai quali non siamo più abituati e che sono stati una sorpresa. Lo sforzo, sia nell’esecuzione sia nel risultato che si voleva ottenere, era di realizzare la ricetta proprio come avrebbero fatto 150 anni fa. Due giorni di lavoro, carne selezionata e “antica”: la Gran minestra di fagiano con crostone farzito al tartufo nero (“Cuciniera moderna, opera gastronomica” di G. Brizzi,  Siena 1845): un consommé di brodo di fagiano con crostino farcito con fagiano, uovo di quaglia e tartufo nero. Si tratta di una delle più sontuose zuppe della cucina nobiliare toscana, riservata da tempo immemore alle grandi festività, con cui si ostentava il proprio rango.

Profumatissime, con zenzero e liquirizia, le Lasagnette esotiche al savor crudo di noci e miele (Panunto Toscano 1705): una pasta alle noci che si contraddistingue per una miscela di spezie tra cui zenzero, limetta, liquirizia, berberè e miele di eucalipto. Tutte piante importate dai viaggiatori fiorentini e successivamente introdotte nei giardini botanici e negli orti agrari delle Accademie naturalistiche mediceo-lorenesi di Firenze e Pisa.

A seguire le Quaglie arrosto al vinsanto farcite per “li Agiati” su crosta indorata con le “bruciate” (Georgofili 1804), Si tratta di quaglie disossate farcite con vitello, maiale, polpa di “ballotte” con uovo e pecorino vecchio delle crete senesi, cotte arrosto in forno, sfumate al Vinsanto del Chianti, servite su crosta friabile indorata all’uovo speziato con contorno di bruciate di marroni del Mugello.

E per chiudere in bellezza il dolce Torta Firenze capitale, una creazione di Giuseppe Alessi che, partendo dalla base del dolce Firenze dell’Artusi, ha voluto unire degli ingredienti a rappresentare idealmente l’Italia.

Secondo Alessi, che da ragazzo ha fatto il ceramista a Sesto, la composizione di un piatto è proprio come stare seduto a dipingere su un piatto o un vaso immacolato. I colori vanno miscelati e sovrapposti bene, sapendo che insieme e dopo la cottura il risultato sarà diverso da quello di partenza. La storia, l’artigianalità e i sapori hanno molto in comune, basta saper prendere il giusto tempo per osservare e assaporare.