Lockdown e alcol: consumi aumentati del 200%. E anche fra i minorenni le “sbronze” sono in crescita

PIANA FIORENTINA – Il 2020 non è stato soltanto l’anno del virus. O almeno non lo è stato per le conseguenze, drammatiche, che questo ha generato. Economiche e non. Fra quelle più evidenti c’è purtroppo un’altra “epidemia” di cui probabilmente si parla poco, quella generata dall’alcolismo. E’ davvero interessante la breve pubblicazione, che si può […]

PIANA FIORENTINA – Il 2020 non è stato soltanto l’anno del virus. O almeno non lo è stato per le conseguenze, drammatiche, che questo ha generato. Economiche e non. Fra quelle più evidenti c’è purtroppo un’altra “epidemia” di cui probabilmente si parla poco, quella generata dall’alcolismo. E’ davvero interessante la breve pubblicazione, che si può trovare facilmente su Internet, con cui gli specialisti della Società Italiana di Alcologia analizzano il quadro della situazione. Un numero speciale della loro rivista, focalizzato appunto su quanto successo negli ultimi dodici mesi e che ha preso spunto dai dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità. Numeri che purtroppo dicono che depressione e consumo di alcol, due fenomeni cresciuti a dismisura nel corso del 2020, sono andati di pari passo. Con un aumento appunto del consumo di bevande alcoliche fino al 200%.

E se la situazione era già critica la scorsa primavera, “negli ultimi due mesi, – spiegano – le misure obbligate di inibizione del contatto fisico, di controllo della libertà personale, di libera circolazione, di libertà d’azione hanno avuto un impatto di contenimento sulla velocità di trasmissione del virus stesso, ma anche implicazioni individuali per comportamenti negativi per la salute come l’incremento dell’abitudine al fumo di sigaretta, le modifiche delle abitudini alimentari orientate verso un surplus calorico, la scarsa attività fisica, il ricorso ad attività legate all’esposizione eccessiva all’uso di smartphone, palmari e computer che hanno fatto registrare incrementi esponenziali del numero di ore passate sui social, sui games multiplayer, di “iperconnessione” a supporto di strategie di re-orientamento verso forme on line di gioco d’azzardo, di scommesse sulla rete (le uniche consentite e disponibili), il ricorso all’uso di sostanze tanto farmacologiche, tese a ridurre gli stati d’ansia, quanto illegali, come la cannabis, oltre che di quelle di più difficile reperimento”.

“In tutto ciò – continuano nella loro analisi – un’abitudine che ha fatto registrare un aumento significativo è stato sicuramente il consumo di bevande alcoliche che, pur nella drastica riduzione legata alla chiusura di bar, ristoranti e riti della movida alcolica e dello sballo, ha fatto registrare nei canali di vendita on line e di home delivery incrementi percentuali a tre cifre in tutto il mondo, assicurando fin dall’inizio della pandemia un accaparramento di quantità ovviamente inusuali di alcolici acquistati nella grande distribuzione ma anche e soprattutto di grandi quantità consegnate direttamente nelle case degli italiani, incrementando verosimilmente l’esposizione a consumi dannosi e rischiosi di alcol, abitudini che hanno potuto avere tempo e ragioni per consolidarsi in oltre 60 giorni di isolamento senza poter ricorrere direttamente o indirettamente all’uso dei servizi sanitari quasi interamente impegnati con le attività inerenti il contrasto a Covid-19”. Basti pensare che fra i minorenni i casi ubriacamento “pesante e rapido sono passati nel 2020 da 800.000 a un milione”.

Ma non è finita qui perché, purtroppo, “c’è l’urgenza di riprogrammare e rinnovare i servizi sanitari, ridefinire i programmi, riorganizzare l’intero sistema di cura che ha dimostrato di non essere preparato a gestire un’emergenza importante come la pandemia che continuerà a gravare sulla società ancora per molto tempo. Conoscere è la base per poter garantire adeguatezza della risposta pubblica ed è proprio per questo che l’Osservatorio Nazionale Alcol e il Centro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la promozione della salute e la ricerca sull’alcol dell’Istituto Superiore di Sanità – insieme a numerosi istituti di ricerca e organizzazioni di tutela della salute pubblica che hanno collaborato con la Technische Universitat di Dresda (TUD, Germania) e l’Ospedale di Barcellona (FCRB, Spagna) – hanno contribuito a lanciare un’iniziativa, un sondaggio d’opinione e di consultazione volto a dare voce alle persone attraverso le loro percezioni e le loro esperienze per raccogliere e produrre indicazioni su base oggettiva da proporre ai decisori politici al fine di garantire attivazione specifica e quanto più possibile aderente alle esigenze di prevenzione di breve, medio e lungo termine”. “Ciò consentirà di verificare come e se l’alcol possa aver rappresentato la sostanza psicoattiva di riferimento, di facile e legale disponibilità rispetto all’esigenza di allentare tensioni da ansia, insonnia, noia, repressione”.

E non è possibile escludere che il periodo di crisi da disoccupazione forzata per milioni di persone (tra le quali molti giovani) e altre situazioni dettate da dinamiche lavorative e affettive, legate alla separazione tra persone bloccate in regioni differenti, oltre a ulteriori situazioni percepite come ingiustizie o comunque anelanti il sollievo da una sofferenza, possano aver trovato canalizzazione nell’uso dapprima euforizzante e poi depressivo ed estraniante della droga più diffusa ed usata al mondo. Ovvero, l’alcol”.

A questo punto direte “è finita”: purtroppo no perché “i servizi di alcologia, quelli territoriali per le dipendenze e i gruppi di lavoro delle strutture di prevenzione del Servizio Sanitario Nazionale già non avevano la capacità di intercettare più del 9% dell’intera e ampia platea di consumatori dannosi in need for treatment pari a circa 800.000 pazienti mai giunti a osservazione clinica prima del Coronavirus; oggi, che è stimabile che sia aumentata considerevolmente la numerosità di quanti richiederanno il ricorso ai servizi sanitari specialistici e di settore, assolutamente insufficienti a far fronte alla marea di richiesta di intervento in funzione della sproporzionata incidenza di nuovi casi che si sommano alla gestione di quelli posti in stand-by nel periodo di lockdown è facilmente immaginabile che una vera e propria rivoluzione delle modalità di prevenzione, diagnosi e cura deve trovare immediata accoglienza in tutte le strutture alcologiche del SSN in Italia”. Insomma, non c’è proprio da stare allegri.