“Messaggio” di fine anno del Collettivo di fabbrica ex Gkn: “Noi un piano ce l’abbiamo, si metta subito a verifica…”

CAMPI BISENZIO – Ultimo, ma non ultimo, anche il Collettivo di fabbrica della ex Gkn ha voluto dire la propria sull’incontro di ieri con il Ministero del lavoro. L’ennesimo incontro, verrebbe da dire, arrivato a conclusione di un 2022 che ricalca appieno il 2021 che ha dato il via alla mobilitazione generale e assemblea permanente […]

CAMPI BISENZIO – Ultimo, ma non ultimo, anche il Collettivo di fabbrica della ex Gkn ha voluto dire la propria sull’incontro di ieri con il Ministero del lavoro. L’ennesimo incontro, verrebbe da dire, arrivato a conclusione di un 2022 che ricalca appieno il 2021 che ha dato il via alla mobilitazione generale e assemblea permanente dei lavoratori nello stabilimento di Campi Bisenzio. E quello che il Collettivo scrive sulla propria pagina Facebook è “un messaggio di fine anno. Un messaggio dal passato per chi sta ostinatamente provando a costruire un futuro”.

Tanti i punti “trattati”: “Qf non ha ottenuto la cassa integrazione per sue uniche e dirette responsabilità. Perché ancora in questo paese usare i soldi pubblici a caso non è così sfrontatamente permesso. Deve pagare le spettanze arretrate, cessare questo gioco di confusione e immobilismo, lasciare il passo a una discussione vera sui piani industriali. Il Ministero del lavoro è libero di coprire la condotta di Qf concedendole una cassa integrazione in deroga retroattiva. Qualcosa che griderà vendetta per chiunque in questo paese acceda agli ammortizzatori sociali con cognizione di causa e per chiunque paghi i contributi. Responsabilità vostra in un grande mondo libero. Qf non ha un piano industriale e ci ha tenuti fermi tra le chiacchiere per un anno. E forse è questo il piano: immobilismo e logoramento per fare lentamente ciò che il fondo finanziario non è riuscito a fare di colpo”.

“Borgomeo arrivò un anno fa come advisor di Gkn. Ed è ormai lecito accampare ogni genere di dubbio su quale siano i reali scopi di questo arrivo e gli accordi che l’hanno circondato. Lo stabilimento è perfettamente agibile a chiunque lo voglia realmente fare ripartire. Lo dimostrano numerosi episodi e visite tra cui il sopralluogo stesso della Regione. Quello che c’è qua è un’altra cosa. Qua c’è uno sbarramento di dignità e consapevolezza composto da un Collettivo di fabbrica, un territorio, dalla consapevolezza solidale e pensante. Lo Stato, la politica, le istituzioni – usate il termine che preferite – non si ritengano assolti. Perché hanno in fondo permesso tutto: la delocalizzazione, un anno di giochi e giochini. Anche qua ormai è lecito chiedersi se lo facciano per incompetenza, impotenza o con l’intento preciso di non permettere a questa lotta di creare un precedente positivo per tutti”.

“Noi abbiamo un piano. Lo si metta a verifica subito, perché siamo i primi interessati a questa verifica. Perché se ci stiamo sbagliando, abbiamo interesse nel correggere l’errore. La cassa integrazione può essere accesa collegandola all’intervento pubblico e ai nostri piani industriali. Anche domani. Invitalia, Cassa depositi e prestiti, il Governo dei cosiddetti sovranisti hanno qualcosa di semplice da fare: fare intervenire il capitale pubblico a rilevare la società. La Regione può firmare un consorzio industriale, indagare il nostro piano industriale, fare da garante per l’apertura di una linea di credito. Anche domani. Un operaio non può sacrificare per sempre l’oggi al domani. La pressione delle bollette, del carovita, della casa, riprende il sopravvento a lungo andare. Il tempo gioca contro di noi e loro lo sanno. Sono cinici distruttori di futuro e quindi sanno come trasformare il tempo in un eterno presente, senza passato e senza futuro. Noi il passato però l’abbiamo già scritto. 17 mesi di assemblea permanente rimarranno nella storia, a ispirare, interrogare, piantati nel terreno come un monito, una lezione e un’accusa. Il futuro ce lo stanno provando a sfilare dalle mani. Con le ultime energie, con tutta la nostra caparbietà, stringiamole, queste mani, facciamoci futuro”.

“Saremo ancora in grado di chiamarvi a costruire una fabbrica pubblica e socialmente integrata, basata su produzioni a servizio della transizione ecologica dal basso? Saremo in grado di resistere agli impazzimenti portati dall’incertezza, ai professionisti della zizzania e alla perdita di lucidità portata dalla stanchezza, per continuare a essere comunità? E se vi diciamo, che ancora “nessuno ferma la rabbia operaia” e che bisogna tenersi libere e liberi, sentirete il nostro grido? Non lo sappiamo. Ciò che possiamo soltanto dire – per dirla con Joe – che, per ora e ad oggi, “il futuro non è ancora scritto”.