Parrucchieri ed estetisti: “Perché non possiamo lavorare in zona rossa?”

CAMPI BISENZIO – “Perché parrucchieri ed estetisti non possono lavorare in “zona rossa”? Siamo forse noi il problema?”. A chiederlo sono Francesca Corsi, presidente Immagine e Benessere Confesercenti Firenze, e Paolo Antilli, referente Immagine e Benessere per Confesercenti Empolese Valdelsa. “Dopo l’incredibile dietrofront sull’apertura consentita a parrucchieri ed estetisti anche nelle zone rosse, adesso la categoria […]

CAMPI BISENZIO – “Perché parrucchieri ed estetisti non possono lavorare in “zona rossa”? Siamo forse noi il problema?”. A chiederlo sono Francesca Corsi, presidente Immagine e Benessere Confesercenti Firenze, e Paolo Antilli, referente Immagine e Benessere per Confesercenti Empolese Valdelsa. “Dopo l’incredibile dietrofront sull’apertura consentita a parrucchieri ed estetisti anche nelle zone rosse, adesso la categoria si pone la domanda delle domande: perché non possiamo lavorare? – dicono Corsi e Antilli – Nelle nostre aziende osserviamo scrupolosamente i protocolli fin dal 18 maggio dello scorso anno. Come previsto dalla normativa abbiamo iniziato a compilare un registro presenze che teniamo a disposizione per un mese al fine di agevolare l’eventuale tracciamento di positivi al coronavirus. Continuiamo a farlo ancora oggi, con forte senso di responsabilità, così come continuiamo a compilare un registro di pulizie giornaliero e uno per i filtri degli impianti di condizionamento”.

Corsi e Antilli spiegano che parrucchieri ed estetisti si sono dotati tutte le norme di sicurezza. “Ci siamo dotati, a nostre spese, di apparecchi per la sanificazione degli ambienti e delle attrezzature, di prodotti professionali per la pulizia profonda, di materiali monouso (asciugamani, mantelline per il colore e per il taglio, mascherine, porta abiti…). – precisano – Inoltre, igienizziamo costantemente le sedute e tutte le parti a contatto con l’utenza e consentiamo l’accesso ad un numero limitato di clienti. Probabilmente facciamo anche più di quanto strettamente richiesto e ne andiamo orgogliosi. Per noi non è un problema, da sempre l’igiene, la pulizia e l’ordine sono una priorità nelle nostre attività. Detto tutto questo non possiamo fare a meno di chiederci quale sia la motivazione che sta alla base della chiusura delle nostre attività. Per indole siamo abituati a contare sulle nostre forze e ad assumerci le responsabilità delle nostre azioni: non ci risulta che evidenze scientifiche siano in grado di dimostrare un peggioramento del quadro epidemiologico legato alle nostre attività. Di conseguenza, non riusciamo a comprendere cosa giustifichi il cambio di direzione rispetto ai precedenti Dpcm che, lo ricordiamo, consentivano alle nostre aziende di operare anche in zona rossa. Siamo forse noi il problema?”.

“Quotidianamente – concludono – assistiamo ad assembramenti nei parchi, nelle piazze, nei mezzi di trasporto pubblici, per non parlare del fenomeno dell’abusivismo, che rischia di creare una frattura irrecuperabile, prima di tutto nel rapporto con i nostri clienti, oltre che nei nostri fatturati. Capiamo le difficoltà nel garantire un controllo capillare ma uno sforzo in più è tanto necessario quanto doveroso verso chi le regole le rispetta da sempre. È proprio in quest’ottica che crediamo sarebbe opportuno incentivare le attività come le nostre dove è possibile garantire il pieno rispetto delle regole. Preferiremmo non trovarci a sperare di ottenere qualche forma di sostegno per i mancati guadagni. Non chiediamo denaro ma solo la possibilità di poter svolgere il nostro mestiere che lo ribadiamo con forza, rappresenta molto di più di un semplice servizio di cura della persona. Con la speranza di vedere presto accolto il nostro appello, restiamo disponibili a portare in maniera costruttiva il nostro contributo al fine di individuare le strategie più efficaci per riaprire quanto prima le nostre aziende”.