Quando l’integrazione è fatta in casa: a Spazio Reale per una “mescolanza” di famiglia e migranti

CAMPI BISENZIO – “Famiglie e migranti oltre le frontiere”: questo il tema della tavola rotonda che si è svolta ieri, domenica 22 settembre, a Spazio Reale in occasione dell’annuale “Festa della famiglia”, che quest’anno ha coinciso con la “Giornata del migrante”. Un appuntamento, organizzato in sinergia dal Centro diocesano di pastorale familiare e dal Centro […]

CAMPI BISENZIO – “Famiglie e migranti oltre le frontiere”: questo il tema della tavola rotonda che si è svolta ieri, domenica 22 settembre, a Spazio Reale in occasione dell’annuale “Festa della famiglia”, che quest’anno ha coinciso con la “Giornata del migrante”. Un appuntamento, organizzato in sinergia dal Centro diocesano di pastorale familiare e dal Centro pastorale migrantes, che è iniziato appunto con la tavola rotonda, con testimonianze davvero interessanti, e che si è concluso dopo pranzo con la Santa Messa celebrata dal cardinale Giuseppe Betori. A raccontarsi quelle famiglie, o membri di esse, di culture diverse o allargatesi grazie all’arrivo di ragazzi stranieri. Moderata dal nostro collega Andrea Cuminatto, ha visto la presenza di Maurizio Ambrosini, sociologo, autore del libro “Famiglie nonostante”, che ha analizzato il ruolo della famiglia, sia quella autoctona che quella composta da immigrati, sul piano politico, etico e religioso; di Kaaj Thsikalandand, di famiglia congolese ma “fiorentina a tutti gli effetti”; della famiglia Navarrete, formata da tre persone “provenienti da altrettanti continenti”; e della famiglia Cei, di Empoli, due figli naturali, altri due in affido, uno dei quali originario del Senegal, l’altro italiano. Un bello spaccato, insomma, della società attuale, iniziato con le parole del professor Ambrosini, che si è soffermato più di una volta, fra le altre cose, su un paio di concetti: quello di “mescolanza” ma anche quello di “stabilità familiare”, le cui problematiche, spesso, non vengono prese in considerazione dall’esterno quando si parla di famiglie di immigrati. Kaaj, invece, 26 anni, è “un’immigrata di seconda generazione”, di professione mediatrice culturale e anche lei, che a Firenze ha frequentato l’asilo per poi tornare, dopo una parentesi in Congo, per l’Università, ha voluto evidenziare due punti: “Per arrivare a un’integrazione che si dica tale, bisogna agire, dobbiamo essere tutti attori attivi. Perchè la cosa importante è trovare un punto di incontro per “spogliarsi” dai rispettivi stereotipi e fare comunità”. Concetti, questi, ribaditi dalla famiglia Navarrete, Mario, Rita e Yngat: babbo argentino, mamma toscana e figlia, adottata, vietnamita: “Per arrivare alla stabilità e alla serenità di oggi, abbiamo dovuto superare tanti momenti difficili. Causati inevitabilmente anche dalle abitudini, dalle tradizioni e dai modi diversi di pensare dei nostri rispettivi paesi di origine. Il nostro, però, è stato un incontro di anime, basato su un incessante allenamento dell’arte di amare. Il nostro stare insieme è ed è sempre stato una sfida, gli scontri ci sono ma, puntando all’essenziale, è questa la cosa importante, ci sentiamo ogni volta preparati a ricominciare”. Arriva da Empoli, infine, l’ultima testimonianza, quella della famiglia Cei che, nel racconto, di babbo Maurizio e mamma Elisa, ha voluto mettere due punti fermi in quella che è stata l’esperienza di vita fino a oggi: l’Opera Madonnina del Grappa e l’Organizzazione non governativa che li ha fatti conoscere. Due figli naturali e altri due, di età diversa, in affido. Cisse, originario del Senegal, con loro da oltre cinque anni, e un altro, più piccolo, con genitori eroinomani, che è andato ad arricchire il nucleo familiare iniziale: “Tutte queste esperienze ci hanno insegnato a guardare oltre e a dare un senso di spiritualità alla strada intrapresa da tutta la famiglia”.

(Fotografia Anna Zucconi)