Quando lo Sputnik atterrò in piazza Lavagnini. Il racconto a Sesto com’era

SESTO FIORENTINO -Lo Sputnik atterrò in piazza Lavagnini a Sesto. Ma fu solo una burla. Nel 1957 la febbre dello spazio aveva raggiunto quasi il massimo misurabile. La guerra fredda tra i due blocchi, quello sovietico a est e quello “occidentale”, era nel pieno sviluppo e avrebbe raggiunto il massimo solo nel 1962 con la […]

SESTO FIORENTINO -Lo Sputnik atterrò in piazza Lavagnini a Sesto. Ma fu solo una burla.
Nel 1957 la febbre dello spazio aveva raggiunto quasi il massimo misurabile. La guerra fredda tra i due blocchi, quello sovietico a est e quello “occidentale”, era nel pieno sviluppo e avrebbe raggiunto il massimo solo nel 1962 con la crisi di Cuba.
Allora ci si misurava su chi avrebbe, per primo, conquistato lo spazio: e furono i Russi, anzi i Sovietici.
Il 4 ottobre 1957 dalla base di Baiknur, nell’odierno Kazakistan, l’apparato missilistico-militare sovietico riuscì a spedire nello spazio una sonda di 58 centimetri di diametro realizzata in alluminio e che pesava 83,3 chili, lo Sputnik che, in russo, significa “compagno di viaggio”. L’annuncio ufficiale lo diede Radio Mosca nel corso della notte tra il 4 e il 5 ottobre facendo allibire e preoccupare il mondo perché gli americani sarebbero arrivati a tale risultato solo il 31 gennaio 1958. Lo sputnik girò attorno alla Terra per 21 giorni perfettamente funzionante e continuò a farlo (ma senza più lanciare segnali) fino al 3 gennaio quando, rientrando nell’atmosfera a 70mila chilometri all’ora, si disintegrò. Nelle ore precedenti il rientro dell’oggetto, si era diffusa la voce che la “palla” sarebbe caduta rovinosamente chissà dove creando chissà quali danni agli uomini e alle cose (dell’ambiente ancora non ci si preoccupava).

Un gruppo di buontemponi sestesi si ingegnò nel costruire una “palla” di metallo con alcune antenne e, nottetempo, la posizionò nel bel mezzo di piazza Lavagnini. Allora si scatenò un vero e proprio caso Sputnik: la paura dilagò tra i residenti nella zona, intervennero le forze dell’ordine, i democristiani accusavano i russi (rossi) di essere delinquenti capaci solo di rovinare nottetempo su inermi cittadini indifesi e che, solo per caso, nessuno si era fatto male. Di rimando i comunisti plaudivano alla tecnologia sovietica che era riuscita, senza danneggiare alcunché, a far atterrare lo Sputnik nel bel mezzo di piazza Lavagnini.
Poi, il maresciallo dei carabinieri svelò il mistero e tutto tornò a posto. Dei responsabili, ancora oggi, si fanno solo nomi sottovoce ma senza conferme. Per i democristiani e i comunisti fu, comunque, uno smacco.

Questa sopra è la storia come è stata raccontata su Piananotizie da Daniele Calieri qualche anno fa (11 giugno 2014). Ma in una serata pubblica al Centro Civico2 di via Leopardi (16 marzo 2018) dedicata alla rievocazione di “Sesto Com’era”, ecco che dal pubblico si è alzato direttamente l’autore dello scherzo: Sergio Cecchi, che per anni ha gestito il laboratorio di scienze del Liceo scientifico Agnoletti. Fu lui da ragazzo, maneggione fin da allora, a montare insieme i pezzi del satellite finto, con tanto di polvere luminosa fluorescente e scritta “Urss – CCCP” tutto intorno alla sfera principale – che aveva fatto già ammaccata e con fili e transistor che fuoriuscivano, proprio come se fosse qualcosa precipitata.

Del suo scherzo, fatto con alcuni amici nella sera del venerdì lasciando il “satellite” in piazza Lavagnini, ci sono dei dettagli divertenti che solo lui può raccontare.

Quando dopo aver fatto un giro tornarono sul posto, intorno all’aggeggio c’era già un capannello, che si ingrossò via via nel corso della serata. E se qualcuno diceva che era per forza uno scherzo, in molti ci credevano. E da veri esperti motivavano la loro opinione. C’era chi mostrava nel grande platano di piazza del mercato il “buco nel fogliame” che lo Sputnick aveva fatto cadendo giù, chi toccando la polvere fluorescente spiegava che era sicuramente “aria polverizzata”, qualunque cosa volesse dire. Si aveva paura ad avvicinarsi troppo, specie con accendini o fiammiferi, perché “poteva esplodere”, anche se mezzo al buio le scritte non s ivedevano bene. Arrivarono anche due carabinieri, che corsero a chiamare il maresciallo. E la folla cresceva. E anche il maresciallo non sapeva che pesci pigliare; occorreva chiamare gli artificieri, ma sarebbero venuti solo la mattina dopo, che era giorno di mercato, quindi si doveva fare un recinto intorno, sperando che niente esplodesse. Era intanto passata la mezzanotte e da una finestra si vide accendersi la luce “Oh che un s’ha a dormire?” “Eh, tu vuoi dormire, vien giù a vedere che c’è il satellite russo caduto”. Quello scese e per l’appunto era uno studente di ingegneria; bastò un’occhiata per capire che era uno scherzo. “Oh vu non lo vedete che è finto, è costruito con pezzi vecchi, roba dell’uno”. Al chè un altro giustificò: “Per forza è fatto con pezzi vecchi, in Unione Sovietica sono andreho” Cioè indietro, detto in sestese.

Silenzio generale. All’epoca, dire a Sesto che in Urss erano indietro non era cosa da poco, neanche se si diceva in dialetto. “Indietro? Come Indietro? Ma icchè tu dici? Intanto il satellite chi l’ha mandato, i Russi o gli Americani?” E giù insulti e discussioni animate. Si mise allora nel mezzo il buon maresciallo “Ora basta, che se deve essere motivo di discussione e disordine dell’ordine pubblico ci penserò io. Se mi si dice che è uno scherzo gli tirerò un calcio e vedremo”.

Tutti d’accordo, soprattutto chi lo riteneva una burla. E tutti ad aspettare il calcio del maresciallo, comunque allontanandosi un bel po’ nel caso esplodesse (anche chi aveva detto che tanto era finto). Suspance come un calcio di rigore, alla pedata del maresciallo la palla con le antenne rotola e la sfera metallica si apre. Con sollievo la gente si avvicina, con torce si guarda cosa c’è scritto “E’ un messaggio, c’è scritto…. Lunova Arificialoska Sesto Mosca Andata e Ritorno”. Questo infatti è quello che il Cecchi e i suoi amici avevano scritto. A quel punto chi rideva e chi si arrabbiava, tutti avevano capito lo scherzo. Ma intanto il gruppo di buontemponi aveva tenuto sveglio mezzo paese comprese le forze dell’ordine, e avevano riso così tanto che uno di loro se l’era fatta sotto.

Il Cecchi potette tornare a casa facendo finta di niente, ma la mattina per l’appunto il maresciallo, che era amico di suo padre, venne a casa sua lamentandosi dell’accaduto. Il padre, vedendo i pezzi metallici li riconobbe come quelli con cui aveva visto trafficare suo figlio, e i guai per il Cecchi cominciarono allora….