CAMPI BISENZIO – Quartotempo inizia il suo tredicesimo anno di vita. E lo fa con 250 atleti tesserati, 110 dei quali hanno certificata una difficoltà da una commissione preposta. “Quelle certificazioni – spiegano – noi le osserviamo con doveroso rispetto e poi le deponiamo in un archivio: da quel momento iniziamo il nostro lavoro che tratta di calarsi nello sguardo dell’altro, nell’immedesimarsi nell’altrui modo di interpretare il mondo mentre un pallone rotola e tutto si semplifica”. Un lavoro complesso “perché i nostri 250 atleti sono presi in carico, ad ogni allenamento, da un’equipe che si pone cinque obiettivi ben precisi insegnare calcio a 5, possiamo contare su di un’alta qualità professionale per andare incontro alle esigenze degli atleti che ambiscono a imparare e avere un futuro nello sport; osservare tutte le dinamiche: gli atleti con gli atleti, gli atleti con ogni singolo membro dell’equipe, gli atleti e i genitori a bordo campo; raccogliere le informazioni che germogliano in campo e quelle che vengono raccolte dialogando sulla vita di ogni singolo atleta con la famiglia, con la scuola, con i servizi sociali; ipotizzare, in equipe, la nuova strada da costruire assieme all’atleta e al suo intorno per superare le difficoltà, in un serio processo psicologico ed educativo facilitato dal gioco e dalla piccola comunità quale è la propria squadra “di pallone”; l’agire dei professionisti in campo e fuori (psicologi, educatori, tecnici del calcio) sulle dinamiche relazionali. Qui si innestano concetti che sono le colonne portanti di Quartotempo: si parla alle persone senza definirli, senza usare “mai” e “sempre” che tolgono l’anima al movimento delle persone; che è utile voler bene all’errore e non interpretarlo come la dimostrazione di non valere; che la sconfitta può essere interpretata come un’eccellente occasione di conoscenza di se stessi e del mondo; che un avversario è un compagno di giochi e non certo non un nemico”.
“Perché – aggiungono – ci teniamo a ribadirlo? per raccontare alla comunità che al circolo Dino Manetti è iniziato tutto questo: silenziosamente grazie a una piccola comunità che si è rimessa in movimento dentro e attorno a un manto verde sintetico e che ambisce a essere una scuola calcio egualitaria, dove anche chi ha rarissime opportunità di far parte di una squadra, qui può. Dove non si pone l’accento sull’integrazione (perché chi integra chi?), ma viene valorizzata l’interazione rispettando la sacralità dell’unicità di ognuno; dove la fiducia nel cambiamento è talmente forte da spazzare via il pensiero che ormai tutto è immutabile e determinato, che non ci si può far più nulla sull’essere “disabile” agli occhi della società, ai propri stessi occhi. Occorre allora che si racconti in giro che Quartotempo non è la “società sportiva dei disabili”, ma un luogo dove si insegna calcio ad alti livelli e dove si cresce ogni allenamento come esseri umani. Quest’anno, inoltre, Publiacqua ha sposato il nostro progetto con entusiasmo per supportare gli ingenti costi da affrontare. Per questo la ringraziano 250 famiglie, e non solo loro”.