Sergio Aguirre: il suo Kaligola-Voglio la luna conquista online e sogna il palcoscenico

CAMPI BISENZIO – Si è trasformato, adattato, scomposto e ricomposto, il teatro nella quarantena in qualche modo ci ha tenuto compagnia rimodulandosi seguendo le nuove regole e diventando, in alcuni casi, sperimentazione. E’ quanto ha fatto Sergio Aguirre con il suo “Kaligola-Voglio la luna”, il suo “primo studio” quasi un grido ibseniano dove manca il […]

CAMPI BISENZIO – Si è trasformato, adattato, scomposto e ricomposto, il teatro nella quarantena in qualche modo ci ha tenuto compagnia rimodulandosi seguendo le nuove regole e diventando, in alcuni casi, sperimentazione. E’ quanto ha fatto Sergio Aguirre con il suo “Kaligola-Voglio la luna”, il suo “primo studio” quasi un grido ibseniano dove manca il sole è sostituito dalla luna, una luna ricercata alla fine del tunnel.

Come nasce il progetto?

Fino a pochi giorni fa eravamo tutti chiusi, non potevamo uscire da casa, – spiega Aguirre – non potevamo frequentare i nostri parenti, i nostri amici, non potevamo frequentare i nostri posti preferiti, i luoghi di aggregazione, il lavoro, e venivamo bombardati quasi sempre di notizie negative. Un momento di crisi, affrontando una guerra silenziosa. Noi artisti, lavoratori dello spettacolo, operatori culturali, cosa potevamo fare? In un momento in cui si pensava alla spesa per non rimanere senza scorte, a organizzare flash mob per sostenere i nostri eroici lavoratori del settore sanitario e tutti i lavoratori dei servizi essenziali, un periodo in cui sentivamo i nostri amici usando tutte le piattaforme sociale a nostra disposizione, mettere semplicemente l’arte online non bastava. Tutti noi, in un momento in cui il settore spettacolo è tra i settori più precari della nostra economia, abbiamo offerto il nostro lavoro rendendolo disponibile in ogni piattaforma on line. Ne sono un esempio le iniziative messe in atto da diversi teatri ufficiali italiani: come il Teatro Massimo di Palermo o il Teatro Coccia di Novara, che hanno deciso di proporre ai loro follower delle videoproiezioni delle opere liriche passate più acclamate. Così tanti teatri in tutto il mondo, I musei on line, le cineteche di tutto il mondo. A Berlino hanno promosso un progetto che ha nome “Vita, arte, pandemia e prossimità” invitando gli artisti ad esporre le loro opere dai propri balconi. Io e Manola Nifosì nel nostro piccolo abbiamo continuato i nostri corsi della scuola teatrodante Carlo Monni on line, in questi incontri abbiamo ri-trovato il piacere di stare tutti insieme, al meno in modo virtuale, attraverso le diverse piattaforme, ci faceva bene “sentirci insieme” attraverso i giochi creativi, le riflessioni, i progetti, i nostri “ImproClips” (video improvvisazioni) Io e Manola abbiamo anche realizzato diverse video fiabe e letture per adulti per diverse biblioteche e teatri. Abbiamo messo a disposizione il nostro “essere creativi”, un modo per evadere al meno per un attimo la sequenza di brutte notizie che si susseguivano in quei giorni.

E allora si prove si trasforma il teatro, si utilizza la tecnologia, costruendo una recitazione diversa.
Ma mettere semplicemente l’arte online non basta – dice Aguirre – Come operatori culturali, abbiamo un piccolo vantaggio iniziale, perché siamo abituati a improvvisare e a farcela con poco. Questo periodo una sorta di “privilegio” perché, come artista e come essere umano, mi è stato donato quel tempo che ormai non abbiamo quasi più a causa della corsa contro lo stesso (il tempo), affannandoci per raggiungere obiettivi sempre più lontani dalla nostra condizione naturale di essere viventi. Così mi è capitato insieme a Nifosì di partecipare in una tavola rotonda virtuale, insieme a registi, direttori di festival e di scuole di teatro, di Francia, Spagna e Sudamerica, per discutere sul tema “Pandemia e Teatro”. Ci avevano chiesto di leggere o recitare alla fine dell’incontro una poesia, un testo breve come chiusura dell’incontro. Mi è riaffiorato un testo del Caligola di Albert Camus, dove si parla della solitudine. Poi ripensandoci, mi era venuto a galla un testo che è stato uno dei primi esercizi teatrali fatti ancora prima di fare l’accademia teatrale. Mi si è accesa una lampadina e ho sentito il desiderio di rileggere tutto il testo teatrale di Caligola. Avevo il libro a casa. Ri-leggendolo mi è venuto in mente che faceva parte della trilogia dell’assurdo di Camus (insieme al romanzo Lo straniero e al saggio “Il mito di Sisifo”). Attraverso quest’opera di Camus possiamo scoprire come re-interpretare la nostra vita alla luce dell’assurdo che domina la nostra esistenza. Lo straniero è un romanzo che adoro, l’ho riletto. Poi ho letto brani del saggio di Sisifo. E nella solitudine di casa, ho deciso di fare una ri-lettura del Caligola, e l’ho riscritto in una sola voce. E’ diventato un monologo. Mentre scrivevo, mi venivano in mente testi del romanzo Lo straniero, immagini del mito di Sisifo, testi Shakespeariani, atmosfere beckettiane, la quarantena, la solitudine, il post quarantena. Una regia. Tutto era cominciato come un esercizio di stile. Un gioco. Un flusso creativo. Una prova. Una sfida. Come un fiume che scorre, il giorno dopo dalle 18 alle 6 del mattino, ho studiato il testo, ho pensato alla regia e mi sono detto: Lo devo riprendere. Così con il mio smartphone ho ripreso tutto, usando casa mia e certi luoghi del condominio da scenografia. Il giorno dopo l’ho montato. Il mio appartamento era diventato un piccolo studio cinematografico. L’ispirazione è il teatro e la scrittura di Albert Camus, un uomo che ha più volte parlato della morte e più ancora della peste, diventando uno degli scrittori maggiormente citati in questi giorni del coronavirus, insieme a Manzoni e a Saramago.
Così dal 26 aprile fino al 30 aprile, ho realizzato il progetto. Aiutato da due voci registrate, quella di Veronica Guidotti e Luigi Monticelli. L’ho fatto andare in onda on line. La sorpresa è stata che poi sono uscite diverse recensione, di siti teatrali on line, tutte molto positive. L’ho chiamato Kaligola, voglio la luna- primo studio. Chissà, forse è l’inizio di un progetto teatrale, nato al tempo del Covid 19. Un progetto che porta alla riflessione sulla condizione di isolamento claustrofobico, diversa, ma anche uguale a quella che viviamo oggi: paura, angoscia, incertezza, un nemico alle porte. Ma alla fine, in fondo al tunnel, ho visto una luce, non era un tunnel tutto buio, subito dietro l’angolo, una forte luce da dimensione e respiro. La pandemia richiede nuovi approcci di riflessione sullo spazio culturale globale. In un periodo in cui il “distanziamento fisico” diventa un dovere, la coesione sociale dovrebbe essere al centro della produzione culturale: la solidarietà diventa anche una questione di sopravvivenza artistica.

Il testo, graffiante ci porta in un luogo nascosto dentro noi stessi, una ricerca sofferta quasi come la scalata all’iterno di un pozzo che sembra senza fine. E’,un grido di dolore, composto, ma necessario, è l’urlo del teatro che può sopravvivere, rigenerarsi e ritornare sul palcoscenico e questa volta, magari, con un progetto dal vivo, il Kaligola-Voglio la luna di Sergio Aguirre. Noi ce lo auguriamo.