Stare a casa. La psicologa Cristina Nunziati “Stravolti dall’emergenza cerchiamo un nuovo equilibrio”

CAMPI BISENZIO – Stare a casa in una condizione forzata crea nuove situazioni alle quali non eravamo abituati. Da un lato la ricerca di trovare spazi e continuare, quando possibile, a lavorare con nuovi strumenti o studiare a distanza e dall’altro trovare un’equilibri personale all’interno della famiglia riscoperta. Abbiamo incontrato virtualmente Cristina Nunziati, psicologa e […]

CAMPI BISENZIO – Stare a casa in una condizione forzata crea nuove situazioni alle quali non eravamo abituati. Da un lato la ricerca di trovare spazi e continuare, quando possibile, a lavorare con nuovi strumenti o studiare a distanza e dall’altro trovare un’equilibri personale all’interno della famiglia riscoperta. Abbiamo incontrato virtualmente Cristina Nunziati, psicologa e psicoterapeuta familiare che si occupa anche di anziani e di disturbi alimentari e collaboratrice del Centro MeMe di Campi Bisenzio, per capire come la nostra vita sta cambiando.

Stare in casa in condizioni di emergenza sanitaria come questa cosa significa per molte famiglie non abituate a condividere 24 ore al giorno per un periodo così lungo spazi e vita comune?

Le famiglie in questo momento stanno affrontando momenti difficili, anche dovuti alla condivisione di spazi e tempi forzati. Ognuno vive situazioni diverse, ma soprattutto ha reazioni diverse in tempi diversi. Il comun denominatore è lo stravolgimento della propria normalità e del proprio equilibro, costruito con tanta fatica nel tempo. Quando parlo di famiglia non mi riferisco solo alla famiglia tradizionale, ma anche a coppie di fatto, famiglie mononucleari, separate, ricostituite, plurinucleari. Se potessimo entrare nelle case adesso, vedremmo famiglie in difficoltà economica, famiglie disperate che lottano per i propri spazi di vita e di lavoro, famiglie in totale caos che si destreggiano tra lavoro, didattica digitale, gestione dei figli, magari con l’aggravante di alcuni cari con disabilità o di anziani fragili. Famiglie che fanno finta di essere in vacanza, per potersi estraniare dalla realtà, che non sì riconoscono più o che imparano solo adesso a conoscersi. Famiglie ad alta conflittualità, violente, con adolescenti incontrollabili, ad alto rischio perché hanno al loro interno membri che vanno ancora a lavorare e per i quali si teme per la salute, famiglie di tutti i colori e con tutte le intensità emotive. Poi ci sono i singoli, che stanno vivendo tutto questo in solitudine, soli con se stessi e con i loro drammi interiori. Personalmente vivo anche io il mio dramma familiare e lavorativo. Sono una professionista, ma non sono indenne a questa situazione. Lavoro in smart working, ho figli piccoli da seguire e coccolare, a cui far fare i compiti, a cui spiegare che mamma lavora e non è in vacanza anche se la vedono sempre a casa. Vivo nelle regole in spazi ridotti, ma come professionista sanitario mi destreggio tra le emergenze, nel mio piccolo. Vivo emozioni che mi appartengono da sempre e altre che mi sorprendono. Cosa consiglio a tutte queste famiglie? Di cercare di ritrovare il proprio equilibrio e benessere, giorno dopo giorno, attraverso le piccole cose.

Cosa significa questa condizione di clausura forzata per i bambini e gli anziani?

Come dicevo, la vita è cambiata e sta cambiando quotidianamente per tutti, a maggior ragione per bambini e anziani. Forse ciò che li differenzia è la capacità di adattamento per i primi e la più profonda consapevolezza per i secondi. Gli anziani possono attingere a vissuti della guerra e del dopoguerra, ai ricordi di restrizioni, di paure provate, ma anche alla speranza della ripresa della vita e dell’economia. Entrambi, bambini e anziani, hanno perso le loro abitudini, il loro modo di stare nella società e nella socialità. La chiusura delle scuole, dei giardini, l’impossibilità di recarsi fuori casa, di scaricare le energie, avere genitori a casa senza poter passare del tempo liberamente con loro, perché in smart working, vivere le loro ansie, preoccupazioni, trovarsi in mezzo ai loro conflitti. Questi i temi da affrontare per i più piccoli, non considerando tutte le tematiche di ribellione e socialità tipiche degli adolescenti, che come ultima cosa avrebbero voluto i genitori accanto 24 ore su 24. Gli effetti? Quando guardo gli occhi dei miei figli vedo la noia, l’incomprensione di ciò che sta accadendo intorno a loro, la curiosità, ma anche una grande capacità di trasformare un dramma quotidiano in un tenero sorriso. Gli anziani, invece, che rappresentano una delle mie aree di competenza professionale, sono tornati un elemento centrale negli equilibri familiari, seppure l’accezione comune sia sempre quella di categoria fragile e più a rischio. Si è parlato molto di fragilità, ma non si è parlato dell’importanza del ruolo dei nonni e di come si siano improvvisamente trovati in una casa vuota, silenziosa, o al contrario in una casa sovraffollata. Le condizioni sono le più diverse e in alcuni casi si amplifica la solitudine, alcuni sono privati di quell’unica visita settimanale, quindicinale, mensile. Altri hanno acquisito purtroppo delle disabilità, non tanto fisiche quanto legate alle barriere digitali, di accesso/garanzia di servizi sociali, sanitari o semplicemente legate al fatto che sono obbligati a restare in casa, rinunciando all’uscita quotidiana per comprare il pane o per trovarsi al circolo, privati di gesti quotidiani importanti. Dovremo davvero trovare il modo di stare accanto a tutte queste persone, da oggi in poi, in un modo diverso e forse più consapevole.

Per chi svolge il tuo lavoro, cosa significa dover fare a meno del rapporto umano?

Non parlerei di perdita o riduzione del rapporto umano, piuttosto di cambiamento nel modo in cui si fa terapia o si fanno gli incontri professionali. Se la vicinanza fisica e la possibilità di contatto sono “vietati”, restano gli sguardi, la comunicazione del nostro corpo, le espressioni, le parole, che a volte per fortuna sono sufficienti anche in video a trasmettere comunque il calore umano. Si parla tanto di consulenza psicologica online. Agire in modo professionale ed efficace in questo settore, significa studiare le nuove tecnologie e le piattaforme informatiche, rispettare la privacy online, valutare e lavorare sui significati di questo cambiamento, soprattutto se si parla di nuovi percorsi, dove dobbiamo ancora conoscerci, dove la fiducia terapeutica deve ancora costruirsi. Con alcuni pazienti, in situazioni di emergenza sanitaria, ho dovuto garantire la prosecuzione degli incontri in presenza. Anche in questa modalità, è stato necessario riconfigurare la relazione. Il professionista deve valutare, insieme alla persona, il significato attribuito alla presenza nella stanza di una distanza di circa 2 metri, di dispositivi di protezione individuale (DPI), di usare la parola terapeutica dietro a una mascherina, oltre all’ottemperanza di procedure di sanificazione prima e dopo l’incontro. Esiste concretamente la possibilità di fraintendersi. Se penso alle consulenze telefoniche, questo rischio aumenta, venendo a mancare la possibilità di attingere ai segnali non verbali. Nel nostro lavoro non può venire a mancare il rapporto umano, e laddove sia messo a rischio, sta alla responsabilità e serietà del professionista fare in modo di tutelarlo, anche introducendo modi e tempi differenti, adattandolo alla persona che ha davanti, decidendo insieme alla persona come continuare il percorso.

Cosa ti manca di più in questa situazione?

La libertà di espressione lavorativa e la capacità di pensare. Mi spiego meglio. Per libertà di espressione lavorativa intendo la possibilità di spostamento, di fare riunioni, di progettare vis a vis. Online è possibile, ma questo evento ci ha colti impreparati, non siamo abituati a farlo e non abbiamo mezzi tecnologici adeguati, soprattutto da casa, dove spesso manca uno spazio fisico adeguato, dove la privacy scarseggia e il silenzio spesso non si sa che cosa sia. Tutti a casa significa mettere insieme tutte le necessità di tutti, privando ognuno di qualcosa. La capacità di pensare è connessa a tutto questo. Condividere bisogni in spazi ristretti, ricreare necessariamente dei rituali (tipo quello del pranzo) in modo diverso, riconfigurarsi nelle relazioni e nei ruoli, produce non solo un’interruzione continua delle azioni, ma anche del flusso di pensiero.

Secondo te come cambierà la nostra vita dopo questa esperienza?

Penso che sia già cambiata. Ci dobbiamo solo abituare all’idea. Per lungo tempo dovremo fare attenzione, proteggere gli altri e proteggerci dagli altri, indossare DPI tutto il giorno e mantenere una distanza di sicurezza. Questo implica una modifica e ridefinizione, forse non troppo temporanea, dei nostri modi di lavorare, di uscire, di stare insieme, di frequentare luoghi, riadattandoci nei tempi e nei modi. La goffaggine con cui lo facciamo adesso, fase di sperimentazione forzata, lascerà spazio a una nuova normalità in sicurezza. Sarà difficile, ma necessario se vorremo riprendere in mano la nostra vita, il nostro lavoro, le nostre relazioni. La paura lascerà spazio alla ritrovata fiducia, l’individualità alla collettività, perchè questa emergenza ha fortificato le mura dell’individualità, seppure sia un’emergenza collettiva e mondiale. Anche le posizioni sui temi della finanza, dell’economia e della salute fisica dovranno necessariamente riconfigurarsi. Avremo molto di cui occuparci, unendo forze e competenze professionali diverse.

Cosa pensi ti resterà dopo il ciclone Covid 19?

Difficile rispondere adesso! Cosa mi resterà dopo questa emergenza… Diciamo che i lavori sono ancora in corso. Si dice che grandi eventi trasformano, selezionano, fanno emergere cose nuove positive, e allontano cose negative. Il “prima” lascia il posto al “dopo”, che non ha solo un’accezione temporale, ma piuttosto di cambiamento di significati. Resteranno emozioni positive e negative provate, gli sguardi disorientati e profondi, le voci impaurite e rassicuranti, le parole e i gesti ricevuti e quelli strappati. Resterà l’amore e la passione per il mio lavoro, lo studio e l’aggiornamento. Resteranno le riflessioni fatte e gli spunti lavorativi e personali colti semplicemente guardandosi intorno e ascoltando attentamente le persone, che anche se non dicono raccontano tanto di sé e del mondo. Resta, resterà e si rinforza il valore di ogni persona, di ogni suo gesto, sguardo, pensiero.