FIRENZE – La crisi dei consumi continua a penalizzare il commercio tradizionale: in dieci anni, dal 2012 al 2021, infatti, i dieci capoluoghi di provincia toscani hanno perso nel complesso oltre duemila negozi (2.079 per l’esattezza). 236 quelli scomparsi nel solo periodo pandemico, nella differenza tra 2019 e giugno 2021. E non va meglio a livello nazionale, dove nello stesso arco temporale sono scomparsi ben 85.000 negozi su strada, 4.500 dei quali durante la pandemia. Ma se le botteghe “sotto casa” diminuiscono, in compenso salgono un po’ ovunque e-commerce, ricettività, bar e ristoranti. È quanto emerge dalla settima edizione dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane e nei centri storici realizzato a livello nazionale da Confcommercio con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio Tagliacarne, che ha fornito i dati sui quali si è sviluppato lo studio.
È Confcommercio Toscana a fornire i dettagli della situazione regionale, dopo aver preso in esame le informazioni relative alle città di Arezzo, Firenze, Grosseto, Livorno, Lucca, Massa, Pisa, Pistoia, Prato e Siena nel periodo compreso tra fine 2012 e giugno 2021. In Toscana il calo più forte ha interessato gli esercizi in sede fissa di abbigliamento, mobili, ferramenta, libri, giocattoli, poi i distributori di carburante. A ridimensionarsi è stato anche il numero delle imprese di commercio ambulante. Unici con il segno più i negozi di servizi informatici, infotainment domestico e telefonia, le farmacie e le tabaccherie (queste ultime solo nei centri storici), ma anche le aziende di commercio elettronico, con incrementi percentuali a due cifre, che tuttavia non sono bastati a colmare le perdite complessive del comparto distributivo.
“Tecnologia, benessere e salute sono forse le uniche voci di spesa sulle quali, potendo, non si risparmia. Ma i livelli generali di consumo delle famiglie toscane sono tornati indietro di quasi trenta anni, quindi il calo del settore distributivo purtroppo non stupisce, – spiega il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni – la pandemia non ha fatto altro che aggravare un trend che era già in atto da prima, oltre ad orientare verso nuovi canali di acquisto come il commercio elettronico, che nel periodo delle chiusure obbligate è stato provvidenziale per molti. Ma se prima tra online e tradizionale c’era una netta competizione, ora la tendenza è far convivere le due realtà nella stessa impresa”.
“Il problema è che le nostre città stanno perdendo pezzi importanti della loro fisionomia e vitalità – sottolinea il presidente di Confcommercio Toscana Aldo Cursano – meno negozi sotto casa vuol dire meno servizi per i turisti e i residenti (soprattutto quelli delle fasce più deboli come gli anziani). Ma vuol dire anche minor presidio delle strade, tra fondi vuoti e degrado che avanza. Se il commercio fisico muore, lo diciamo da sempre, muoiono anche le città e quel sistema di relazioni che ha come riferimento i punti vendita della rete distributiva tradizionale”.
Il calo delle botteghe in Toscana, almeno a livello percentuale, interessa in maniera pressoché simile sia i centri storici, che segnano un -12,3% di esercizi, sia le aree di periferia, dove si sale al -12,8%. Perdite moderate si registrano per i negozi che vendono beni essenziali (ad esempio, gli alimentari). In controtendenza con il commercio, il settore dell’accoglienza, che anche in Toscana – come nel resto d’Italia, continua a crescere nonostante la battuta d’arresto legata alla pandemia: strutture ricettive (in particolare quelle extraalberghiere), bar e ristoranti sono aumentati negli ultimi dieci anni di circa il 17% (tra l’1,5 e il 2% nel periodo pandemico), passando dalle 8.387 unità del 2012 alle 9.806 del giugno 2021, nel complesso delle dieci città capoluogo di provincia.
“Le nostre città stanno cambiando volto, tra nuovi stili di vita, smart working, mobilità differente. È quindi necessario trovare un modello di governance urbana da applicare nel medio-lungo termine, che rispetti la vocazione e la storia di ogni centro e dia risposte concrete all’economia reale e alla vita quotidiana di cittadini e imprenditori – conclude Marinoni – a livello locale ci vogliono alleanze strategiche tra Amministrazioni e parti sociali, per definire strategiche condivise. L’obiettivo di tutti deve essere contrastare i fenomeni di desertificazione commerciale e valorizzare il tessuto economico in tutte le sue forme e funzioni, incluse quelle di attrazione culturale e turistica, di sostenibilità di quartiere e di innovazione capillare e diffusa, migliorando al contempo la qualità urbana e la coesione sociale”.
Confcommercio ritiene quindi utile “un reale coinvolgimento del territorio e una maggiore integrazione progettuale tra i temi urbanistici e quelli economici, al fine di usare efficacemente i finanziamenti disponibili, a partire dalle opportunità contenute nel Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per la rigenerazione urbana ma anche con riferimento alle ulteriori risorse per le città previste dalla nuova Politica di coesione 2021-2027. Nel prossimo settennio, infatti, anche la programmazione europea, in maniera più decisa rispetto alle precedenti, pone il territorio e le città al centro degli obiettivi di policy con il fine promuovere uno sviluppo integrato e realizzare strategie urbane sostenibili”.