Un anno senza Daniele

Caro Daniele, ho ancora la scena davanti a me: gli occhi chiusi, il respiro affannato poi di colpo scomparso, il sorriso beffardo e il pugno della mano sinistra sul cuore. Quello che ti ha tradito. Stanco e deluso, stremato dalle complicazioni dell’esistenza. Un sorriso ironico con gli occhi chiusi. E te ne sei andato. Era […]

elena e danieleCaro Daniele,
ho ancora la scena davanti a me: gli occhi chiusi, il respiro affannato poi di colpo scomparso, il sorriso beffardo e il pugno della mano sinistra sul cuore. Quello che ti ha tradito. Stanco e deluso, stremato dalle complicazioni dell’esistenza. Un sorriso ironico con gli occhi chiusi. E te ne sei andato.
Era un sabato di agosto: il primo sabato, il primo giorno di agosto. Alle 8.05 il tuo cuore ha smesso di palpitare, nonostante il medico del 118 tentasse l’impossibile, non c’è stato alcun lieto fine.
Hai voluto lasciare così il mondo. Me, la tua famiglia, il tuo lavoro. E sono rimasta lì, un po’ ad aspettare che l’incubo finisse. Ma non era l’incubo dal quale ci si sveglia.
Non ci si sveglia, ma si continua. Tu lo dicevi, me lo hai detto più di una volta in questi 33 anni di vita e lavoro intrecciati insieme come una mozzarella di bufala (che tu, al contrario di me, gustavi piacevolmente), me lo hai detto ogni volta che la nostra vita è stata attraversata dalla morte di qualcuno dei nostri cari (Garavisia, mio babbo, la Zia), ma è più difficile metterlo in atto. Però so che ci sei, in qualche modo, magari sei “nel posto bello” dove ti pensa la Sandra, oppure in una scatola di legno e zinco dove sono le tue ceneri, oppure nei libri trash che amavi leggere e che ogni tanto sfoglio e assaggio qualche riga (è vero sono proprio brutti) e ci ridevi su, oppure nella musica più colta della mia, per me così difficile, oppure ancora nella tua Trabant la piccola automobile che mi sta accanto, sulla scrivania, il tuo unico oggetto amato comprato a Berlino in quella Berlino dell’Est tra ricordi e pensieri, tra parole e politica, tra passato e presente. E futuro. Quello a cui tu guardavi. Se chiudo gli occhi ti vedo seduto nella cucina di Colin a parlare di Parigi e di Londra dove avresti voluto tornarci, viaggiatore curioso senza sosta, oppure insieme a guardare il raggio verde a Malta, sento la tua voce che seria, completa, sonora e ammaliante racconta la politica nella Piana, profondo conoscitore dei comuni che stanno in quest’area, della vita politica tanto che qualche anni fa, ti fu chiesto se avresti voluto diventare assessore. Rifiutasti. Perchè ti ho chiesto? Non avrei potuto fare il mio lavoro, mi hai risposto. Il tuo lavoro. Il giornalista. Già perchè tu sei onesto e coerente fino in fondo. Per questo, sai, avrei voluto portare a compimento un tuo grande desiderio a cui tu stavi lavorando: la pubblicazione del tuo romanzo giallo, quelle 100 ore al Commissariato che raccontano personaggio e aspetti curiosi di Sesto Fiorentino. Vorrei anche che Elisa riuscisse a creare un premio giornalistico a te intitolato e riservato a tutti quei giovani o meno giovani giornalisti che svolgono questa attività in provincia. Avrei voluto portarti ancora a Londra e a Berlino e discutere con te se davvero Nero Wolfe è un grande investigatore o se è meglio Woodehouse (dimenticato da tanti che mi hai fatto scoprire), discutere di radio e televisione. Allora ascolto Vecchioni che apprezzi solo per “Quelli belli come noi” cantata con Nuti e poi Ravel con il suo Bolero, perchè se tu fossi una musica saresti questo, un ritmo che non finisce mai. Perchè non conta che te ne sei andato, conta che tu, nella mia vita, ci sia stato.

Elena