Un nuovo sistema socio-sanitario. Aperto il confronto per un’organizzazione più vicina al cittadino

FIRENZE – La Toscana disegna l’architettura della nuova assistenza socio-sanitaria territoriale che andrà a regime nei prossimi tre anni. Il Pnrr finanzia alcuni interventi importanti, ma servono anche organizzazione professionisti. E qui sta la riforma, che punta sull’integrazione e il potenziamento delle cure domiciliari, sullo sviluppo della sanità di iniziativa (ovvero percorsi di prevenzione per […]

FIRENZE – La Toscana disegna l’architettura della nuova assistenza socio-sanitaria territoriale che andrà a regime nei prossimi tre anni. Il Pnrr finanzia alcuni interventi importanti, ma servono anche organizzazione professionisti. E qui sta la riforma, che punta sull’integrazione e il potenziamento delle cure domiciliari, sullo sviluppo della sanità di iniziativa (ovvero percorsi di prevenzione per gestire meglio le malattie croniche) e la presa in carico sul territorio, anzitutto dei soggetti più fragili o degli anziani, in un regione dove la popolazione invecchia e dove con il dato demografico occorre fare i conti. Una riforma che punta pure sull’innovazione e sui servizi digitalizzati, sulla telemedicina e il telemonitoraggio, che tra le due è la vera sfida: il Pnnr ha stanziato per tutta Italia un miliardo di euro.  Una riforma che poggia su tre pilastri noti – case di comunità, ospedali di comunità e centrali operative territoriali – che discendono dal decreto ministeriale, il famoso Dm 77, approvato in estate dal Ministero e che la Toscana declinerà con ricette anche originali. 

Una proposta di organizzazione la Regione l’ha già messa nero su bianco. Ma prima del recepimento del decreto – l’auspicio è di riuscirsi prima della fine dell’anno – ha deciso di costruire un percorso di ascolto e confronto con tutti gli attori del sistema. La prima tappa c’è stata stamani al centro “Il Fuligno” a Firenze: un’ottantina di persone almeno, operatori ed attori del variegato universo del mondo della sanità pubblica (ma anche del terzo settore e del volontariato), con l’apertura a quel punto di una seconda sala in collegamento video per permettere a tutti di seguire comodamente il seminario, seduti e non in piedi e altre quattrocento persone collegate da remoto on line. 

Cittadino al centro 
Al centro della nuova architettura ci saranno il cittadino e la comunità, in un puzzle che vede incastrarsi da un lato la prossimità e una presa in carico continuativa dei pazienti là dove abitano, con risposte adeguate ai bisogni delle persone, e dall’altro la sostenibilità del sistema. “Non a caso – ha detto l’assessore alla sanità Simone Bezzini – gli effetti di questa riforma, se funzionerà, li misureremo anche dagli ospedali: tra gli obiettivi, oltre a cure diffuse, c’è la riduzione degli accessi impropri ai pronto soccorsi”.

Certo le formule per mettere a terra il nuovo sistema non possono essere le stesse ovunque, è stato sottolineato anche stamani. Un conto è operare in una città, altro in un arcipelago, in zone rurali o in montagna. “Soluzioni dunque diverse. Ma tutti – ribadisce Bezzini – dovranno avere la garanzia di un percorso che assicuri accesso ai servizi vicino a casa”. Non con prestazioni isolate, ma con percorsi di cura strutturati: con lavori di equipe, con la collaborazione di medici e pediatri di famiglia, con la telemedicina quando utile e necessaria o con cure domiciliari, con il coinvolgimento del terzo settore e del volontariato che contraddistinguono in maniera positiva questa regione. 

Case, ospedali di comunità e centrali operative 
Ma cosa cambierà in pratica dopo la riforma? Il cittadino continuerà ad accedere al sistema attraverso il 116 o 117, rivolgendosi al medico o al pediatra di famiglia, alle case di comunità o al punto unico di accesso, attraverso il segretariato sociale o ai punti insieme, ai consultori e ai servizi della salute mentale delle dipendenze, ai centri servizi e ai centri per le famiglie. La novità è costituita dalle centrali operative territoriali – 37 in tutta la Toscana, più di una dunque per zona distretto che sono ventotto, un medico e cinque infermieri in servizio in ognuna, aperte dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana, una a turno anche la notte e la domenica – e che funzioneranno in back-office come una sorta di cabina di regia smistando percorsi e bisogni in base alle esigenze del cittadino. In modo integrato e semplificando, per i cittadini, percorsi amministrativi a volte ostici: non solo in uscita dagli ospedali come oggi fanno le Acot per le cosiddette dimissioni difficili e per pazienti che hanno bisogno di cure intermedie, ma anche in entrata, dai territori agli ospedali od anche tra i vari servizi del territorio.    

Nasceranno con la riforma le case di comunità, da 70 a 77 in tutta la regione. La dentro dovranno necessariamente trovare casa non solo specialisti di base ma anche medici di famiglia, pediatri, infermieri di comunità e assistenti sociali. Offriranno assistenza in raccordo con la rete ospedaliera. La parola chiave è di nuovo integrazione, il coinvolgimento di tutte le professioni sanitarie e la presenza di equipe strutturate. Un sistema a rete, con il soccorso delle Uca – evoluzione delle unità mobili di distretto Usca tenute a battesimo durante la fase più acuta della pandemia – che offriranno aiuto ad esempio nel caso di emergenze organizzative o di focolaio, attivabili dai medici di famiglia. E nasceranno anche gli ospedali di comunità, per le cure intermedie di persone fragili o anziane o con patologie croniche che necessitano di interventi a bassa intensità, se non trattabili a domicilio.  Ci sarà almeno un ospedale di comunità in ogni zona distretto o per società della salute, con circa venti posti letto ogni 50 mila abitanti