Valerio Bertini, un lastrigiano “ritrovato” grazie a una storia di sport. E martedì 22 “tornerà” a Lastra a Signa

LASTRA A SIGNA – Un cittadino “ritrovato” grazie allo sport. E grazie anche al racconto fatto a un nostro collega, Fabrizio Borghini. Storie che si intrecciano, ancora una volta, a Lastra a Signa grazie alla preziosa collaborazione della sezione delle Signe “Nesti-Pandolfini” dei Veterani dello sport. Per un pomeriggio che si preannuncia come “portatore sano […]

LASTRA A SIGNA – Un cittadino “ritrovato” grazie allo sport. E grazie anche al racconto fatto a un nostro collega, Fabrizio Borghini. Storie che si intrecciano, ancora una volta, a Lastra a Signa grazie alla preziosa collaborazione della sezione delle Signe “Nesti-Pandolfini” dei Veterani dello sport. Per un pomeriggio che si preannuncia come “portatore sano di emozioni”.

Oggi, infatti, martedì 22 novembre, con inizio alle 16.30 il palazzo comunale di Lastra a Signa ospiterà, organizzato dall’amministrazione comunale in collaborazione con la sezione U.N.V.S. Le Signe Azzurri Fulvio Nesti ed Egisto Pandolfini, un incontro di vera e propria storia sportiva dedicato a Valerio Bertini, ex calciatore del Vicenza e della Nazionale Juniores, nato a Lastra a Signa, che sarà presente. Interverranno Angela Bagni, sindaco di Lastra a Signa, Leonardo Cappellini, assessore allo sport, Fabrizio Borghini, giornalista, Leandro Becagli e Gianni Taccetti, U.N.V.S. Nesti-Pandolfini.

Questo invece il racconto che Valerio Bertini ha fatto al collega Fabrizio Borghini:

La mia famiglia proviene dalla collina di Cupoli a Calcinaia. Era una famiglia contadina e molto numerosa e via via che i figli si sposavano e le persone da “sfamare” aumentavano, ognuno doveva andare a cercarsi qualche altro lavoro. Così successe ai miei genitori che, con un patrimonio di due salami, andarono ad aprire una pizzicheria a Firenze in via Boccaccio, nel quartiere delle Cure. Era il 1948 e io avevo solamente un anno. Trovarono una casa in coabitazione con un’altra famiglia nella stessa via Boccaccio e mio padre ha sempre ripetuto per tutta la vita: “Quante cambiali mi toccò firmare per aprire quella bottega…”. Quando cominciò a guadagnare un po’ di più ci trasferimmo in via Sercambi, quindi sono cresciuto sull’argine del Mugnone e all’Oratorio di San Giuseppe dei Gesuiti – quelli che avevano la chiesa in via Don Minzoni dove c’è lo Stensen -, che all’epoca era in via Domenico Cirillo, una parallela di via Borghini, dove ho trascorso gli anni più belli della mia vita. Non esiste più da circa 25 anni. C’era un campetto dove si facevano i tornei sette contro sette o otto contro otto sfidando le squadre delle altre parrocchie come il Lapo e San Marco Vecchio di via Faentina e l’Esperia della Divina Provvidenza di via Dino Compagni senza allenatori che ci sgridassero se sbagliavamo. C’era anche la televisione, che pochissimi avevano in casa, e mi ricordo di averci visto la finale dei Mondiali del 1958 tra Svezia e Brasile. Spesso dall’Oratorio si partiva in una quindicina di ragazzi e si andava in bicicletta dove ora c’è la sede Rai a Bellariva; lì c’era un pratone con l’erba e dopo aver fatto le porte con qualche maglia o giacca si giocava a oltranza. I capelli andavo a farmeli dal famoso attore del teatro vernacolare Giovanni Nannini che aveva la bottega in via Borghini ed era una spasso perché era sempre allegro e divertente. Vicino c’era una gelateria molto frequentata.

Allo Stadio Comunale ho cominciato ad andarci a dodici/tredici anni e fra tutte le partite viste mi ricordo in particolare un Fiorentina-Brasile del 1958 con Pelè in panchina in una amichevole finita 4-0 per i futuri campioni del mondo. Andavo, ma poco, anche all’Alfa Cure che mi ricordo organizzò una grande festa in occasione della vittoria di Sante Ranucci ai Mondiali di ciclismo dilettanti su strada a Frascati nel 1955. Fu fatta una festa enorme con la piazza stipata di gente perché lui aveva iniziato a correre proprio per l’Alfa Cure. Raramente andavamo al Ponte Rosso a vedere la pallacanestro anche se c’era una squadra importante. Per la Festa della Rificolona, invece, si andava sull’Arno. All’Oratorio ho fatto la prima comunione, la mattina, e la cresima il pomeriggio dello stesso giorno. Le elementari le ho ho fatte alla Garibaldi in via Goito e poi sono andato all’istituto professionale Benvenuto Cellini in via Masaccio. Da scuola si usciva a mezzogiorno e mezzo e da quell’ora fino a buio si stava a giocare all’Oratorio che era diventata la mia seconda casa. Questo, da sette otto anni fino a tredici anni quando mi vide un osservatore della Rondinella, un uomo corpulento del quale non ricordo il nome, che mio portò a fare un torneo giovanile che veniva organizzato dal DLF, il Dopolavoro Ferroviario, sul campo di via Paisiello a primavera. Giocai bene per cinque o sei partite e vedendomi qualcuno mi segnalò a Mauro Franceschini che mi prese nella sua scuderia.

A quattordici anni disputai il mio primo campionato Figc al Motovelodromo delle Cascine con Andrea Bassi come allenatore e poi andammo alla Sestese per disputare il campionato Juniores Regionali. Ogni tanto ci chiamavano a Coverciano per giocare contro le varie Nazionali azzurre che venivano in ritiro al Centro Tecnico perchè Franceschini aveva molte conoscenze. Mi misi in luce e si interessarono a me sia l’Inter che il Vicenza; quest’ultima società, che allora si chiamava Lanerossi, mi convocò per fare un provino e così a 17 anni e mezzo mi trovai tesserato per una squadra di serie A e mi trasferii in Veneto. Fui inserito nella rosa della De Martino e disputai il Torneo di Viareggio collezionando anche cinque partite con la Nazionale Juniores al Torneo Uefa 1965 in Germania con Chiarugi, Pierino Prati e Tazio Roversi selezionati da Giuseppe Galluzzi e col massaggiatore fiorentino Sandro Selvi in panchina. L’allenatore Scopigno mi convocò anche diverse volte in prima squadra e così l’anno successivo fui inserito nella rosa dei titolari. A 19 anni appena compiuti esordii in campionato a Bergamo contro l’Atalanta e disputai un ottimo incontro tanto che fui confermato in una gara della Coppa Rappan contro la squadra olandese del Feyenoord, ma quel giorno la mia promettente carriera si interruppe bruscamente.

Mi procurai una bruttissima distorsione al ginocchio destro che mi costrinse a un primo intervento eseguito a Vicenza. La società biancorossa poi mi fece ricoverare al Rizzoli di Bologna dove il professor Gui mi diagnosticò una lesione al legamento crociato. Nel 1966 il mio infortunio era inoperabile perché la tecnica di ripristino dei legamenti crociati arriverà in Italia solo agli inizi degli anni Ottanta quando fu operato Roberto Baggio. Nonostante il crociato lesionato continuavo ad allenarmi con impegno e d’accordo con il Vicenza decidemmo di accettare il trasferimento al Viareggio che militava in serie C. Collezionai una quarantina di presenze giocando anche abbastanza bene però il ginocchio era spesso gonfio e dolorante e allora decisi di dare l’addio al calcio. Durante il ritorno da Viareggio verso Firenze, mentre guidavo piangevo continuamente come un bambino; dopo Montecatini reagii e mi dissi: “Valerio, pazienza. Hai tutta la vita davanti e, al fianco, una moglie che ha lasciato la sua città, Vicenza, per seguire te”. Così ho cominciato a lavorare e studiare alla scuola serale; dopo il diploma alle Magistrali ho conseguito il diploma Isef dedicandomi nei successivi trentasei anni all’insegnamento di Educazione fisica, oggi vivo a Bagno a Ripoli.