Al laboratorio-sartoria Altremani il “Fashion revolution day”

SESTO FIORENTINO – Disegnare e cucire abiti da donna e da uomo, accessori, non “pronto moda”, ma una vera sartoria con vocazione sociale. E’ Altremani, nella sede sestese di via del Trebbio, alla quale si aggiungono i negozi di Firenze e quello di Castagneto Carducci e quello di prossima apertura a Chiusi. All’interno del Laboratorio-sartoria […]

SESTO FIORENTINO – Disegnare e cucire abiti da donna e da uomo, accessori, non “pronto moda”, ma una vera sartoria con vocazione sociale. E’ Altremani, nella sede sestese di via del Trebbio, alla quale si aggiungono i negozi di Firenze e quello di Castagneto Carducci e quello di prossima apertura a Chiusi. All’interno del Laboratorio-sartoria dove operano persone provenienti da situazioni marginali e sociali, questa mattina si è tenuto un incontro su “Fashion revolution day”. Il 24 aprile 2013 a Savar, nei pressi di Dacca (Bangladesh), 1138 operai del tessile abbigliamento perirono nel crollo di un edificio commerciale. In quell’edificio fatiscente di otto piani, operavano aziende che confezionavano “capi” di abbigliamento e i lavoratori erano costretti a lavorare in un luogo insicuro, incapace di reggere il peso delle vibrazioni dei macchinari pesanti. Nonostante il segnale di allarme dato da alcune crepe al primo piano, i proprietari delle fabbriche tessili ordinarono ai loro dipendenti di tornare a lavorare il giorno successivo ignorando, in tal modo, il segnale di allarme e di evacuazione dell’edificio.  Sotto le macerie del crollo vennero trovate le etichette di molti brand internazionali della moda indossati quotidianamente.

Il “Fashion revolution day” vuole ricordare le vittime del crollo, ha l’obiettivo di sensibilizzare sul “chi” e sul “come” vengono realizzati i “capi” che acquistiamo (who made my clothes) e di promuovere una industria della moda che, in sintonia con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e con le diverse direttive europee, sia “sostenibile” e quindi rispettosa dell’ambiente e di coloro che vi lavorano. L’industria tessile, infatti, è considerata (dalla Commissione per l’Europa delle Nazioni Unite) “un’emergenza ambientale e sociale” in quanto è responsabile di circa il 10% delle emissioni di gas serra, dell’8% delle microplastiche accumulate nei fondali oceanici, di un consumo di energia superiore a quello del trasporto aereo e marittimo messi insieme e del disastroso impatto ambientale causato dalla “sovrapproduzione”. Con l’avvento del “fast fashion” (fine anni ’90), la sovrapproduzione di abiti è diventata una vera e propria emergenza. Il “fast fashion”, infatti, si fonda proprio sulla continua e rapida produzione di altissimi volumi di abbigliamento di “bassa qualità” venduti a “prezzi bassi” e destinati ad essere “poco indossati” e finire, dopo breve tempo, in discarica. Le immagini delle dune del deserto di Atacama in Cile, trasformate in una enorme discarica a cielo aperto, o dei rifiuti tessili accatastati sulle rive di Accra, in Ghana, sono drammaticamente eloquenti. Ma all’emergenza ambientale, il “fast fashion” unisce l’emergenza sociale.  Per poter vendere a un “basso prezzo”, le aziende del “fast fashion” comprimono oltremisura il costo del lavoro ricorrendo, spesso, a condizioni di lavoro poco dignitose (come ci ricorda la tragedia del “Rana Plaza” con i suoi 1138 morti). 

Ma sarebbe sbagliato pensare che queste forme di “sfruttamento” possano verificarsi solo “lontano” da noi. Alcuni fatti di cronaca recente (vedi le società poste in amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano) ci ricordano come, queste realtà produttive sostanzialmente illegali, siano presenti all’interno del nostro tessuto produttivo e che possono soffocare le aziende “regolari”. Nell’incontro di oggi su “Intrecci artistici e culturali”, sono sate presentate le proposte che la “rete” stessa intende avanzare a Roma, il prossimo 8 maggio. Proposte tese a valorizzare il positivo ruolo che le Sartorie Sociali possono avere in questo difficile contesto economico. Proposte dalle quali emerge quella visione economica che caratterizza le Sartorie Sociali e che ritroviamo in quella comune visione che unisce, come richiamato dal presidente Mattarella, il paradigma dell’Economia Civile, la nostra Costituzione e l’obiettivo 12 (consumo e produzioni responsabili) dell’Agenda 2030.

Hanno partecipato all’incontro, il sindaco Lorenzo Falchi, l’assessore Camilla Sanquerin, Stefania Passarelli (Politiche sociali Regione Molise), Maurizio Rossi (presidente cooperativa Convoi), Leonardo Becchetti (economista e docente ordinario Università Tor Vergata), Dario Casalini (presidente associazione Slow Fiber), Francesca Recine (vicepresidente nazionale Fismo Confesercenti), Maurizio Varriano (presidente Parco Letterario e del Paesaggio F. Jovine), Giorgio Gagliardi (presidente aps Arci F. Jovine), Riccardo Terriaca, presidente Confcooperative Molise, Giacomo Billi, presidente di Federsolidarietà Toscana, Paola Galgani, vicesindaco di Firenze, Valentina Frullini, vicesindaco del Comune di Chiusi, Jessica Callaioli, assessore del Comune di Castagneto Carducci, Simona Salvadori, assessore del Comune di Cecina,  Yuna Kashi Zadeh, vicesindaco e assessore al sociale del Comune di Scandicci.