SESTO FIORENTINO – “Chiediamo ai marchi della moda come Dolce e Gabbana, Yves Saint Laurent, Ferragamo, Chanel, Prada, Tods, di non togliere le commesse alla Mami dopo la denuncia che fanno i lavoratori: condotta antisindacale dell’aziende che non ha rispettato l’ordinanza del Tribunale di Firenze”, è quanto sostengono la Fiom Cgil di Firenze e i lavoratori dell’azienda. La Mami srl è un’azienda della filiera della moda che si occupa della realizzazione di accessori per pelletterie ed abbigliamento con sede in via delle Calandre lato Sesto Fiorentino e occupa 130 persone. Alle istituzioni il sindacato ha chiesto di intervenire per fare un “tavolo urgente alle porte con lo sbocco dei licenziamenti che potrebbe determinare un terremoto nei sistema del distretto perchè venga ripristinato l’elemento di legalità complessivo”.
Il giudice ha emesso una sentenza di condanna della Mami Srl per comportamento antisindacale, ma l’azienda non ha rispettato la sentenza del Tribunale. “Qui si parla della punta dell’iceberg di un settore, quello della moda impostato in un certo modo – spiega Yuri Campofiloni della Fiom Cgil – si parla di un’assemblea di aprile che dice che i delegati possono affiggere nella loro bacheca quelli che sono i momenti ritenuti opportuni frutto della verbalizzazione dell’assemblea, che l’azienda non può intervenire in nessun modo sull’attività sindacale svolta in azienda, che in caso di ammortizzatori sociali non si può scegliere chi lavora sempre e chi non lavora e dice che deve darci su nostra richiesta, documenti e informative relative alla cassa e alla gestione dell’azienda. Questo non è stato frutto solo di un contenzioso che ci ha portato davanti al giudice, ma il giudice di primo grado ha emesso una sentenza di condanna piena e totale della Mami Srl che è stato completamente disatteso. La Mami srl decide unilateralmente di non rendere esecutiva la sentenza di un tribunale”. Un atteggiamento, spiega la Fiom Cgil, grave. “E’ grave perchè salta il principio – spiega Campofiloni – della funzione dei tribunali nei confronti dei contenziosi. L’azienda ha ricorso in giudizio, siamo in appello, ma è vero che la sentenza del tribunale deve essere applicata”.
La situazione della Mami fino ad ora era sconosciuta alle cronache. “Fino ad oggi non è venuto fuori il nome dell’azienda – spiega Campofiloni – perché c’è un sistema vessatorio nel distretto della moda, condizioni commerciali capestro, si parla di brand fino all’ultimo distretto che riguarda oltre 8mila metalmeccanici e quasi 35mila lavoratori operanti nell’indotto nella logistica. Nella Piana fiorentina sono oltre 40mila addetti nel distretto della moda”. Il distretto della moda, spiega la Cgil, è fatto come una serie di cerchi dove il primo cerchio è quello che ha condizioni migliori che poi scarica agli altri, si scaricano condizioni capestro e responsabilità. “Gli accordi di fornitura – spiega Campofiloni – non sono accordi né di rete né di filiera, ma commerciali e in qualsiasi momento possono essere disattesi e sottratti al fornitori e sono condizioni capestro. Questo meccanismo mettono nel distretto della moda una pressione verso il basso e le condizioni di lavoro che spinge verso lavoratori del sottoscala, di cooperative di servizio e sociali”.