Storia di un’amicizia alle pendici del Monte Rosa, raccontata a Campi

CAMPI BISENZIO – “Un mercoledì da scrittori” porta la montagna a Campi. Anzi “Le otto montagne”, il romanzo scritto da Paolo Cognetti per Einaudi che ieri sera ho avuto la fortuna – consentitemi anche questa volta “la prima persona” –  di presentare nel Foyer del Teatrodante Carlo Monni. In parte di fantasia, in parte autobiografico […]

CAMPI BISENZIO – “Un mercoledì da scrittori” porta la montagna a Campi. Anzi “Le otto montagne”, il romanzo scritto da Paolo Cognetti per Einaudi che ieri sera ho avuto la fortuna – consentitemi anche questa volta “la prima persona” –  di presentare nel Foyer del Teatrodante Carlo Monni. In parte di fantasia, in parte autobiografico (in che percentuale non importa), nel giro di pochi mesi il libro di Cognetti – finalista e fra i super favoriti al “Premio Strega” del prossimo 6 luglio – è diventato un caso editoriale, consacrando il suo autore come una delle voci più autorevoli della letteratura italiana “moderna” ma anche della narrativa di montagna. Già, la montagna, il fil rouge del racconto, quello dell’amicizia fra due bambini che diventano uomini tra fughe e tentativi di ritorno, condividendo camminate, affetti, la costruzione di una piccola casa, sempre alla continua ricerca di se stessi. Tutti aspetti che sono emersi ieri sera, nel terzo appuntamento del nuovo ciclo di incontri promossi dalla Cooperativa Macramè che anche quest’anno, con gli autori scelti per la nuova edizione del “Mercoledì da scrittori”, ha fatto centro. Cognetti, classe 1978, estremamente disponibile, ha parlato di montagna ma anche della sua vita divisa fra Milano  e la sua baita a duemila metri di altezza, in Valle d’Aosta, dove “abita” almeno per sei mesi l’anno. Ma anche dei suoi “ritorni”, della sua volontà di comunicare con la scrittura i propri stati d’animo, del rapporto con il padre ma anche di tutto ciò che genera questo suo cammino. Dai libri che legge alle motivazioni che lo hanno portato a fare questi tipo di scelta. Non a caso, se da un lato c’è la montagna, quella ruvida, fatta di vita fra i boschi e non di riviste patinate, dall’altro ci sono l’ispirazione letteraria e il dialogo con i classici che si riverberano nei suoi personaggi. “E’ una storia molto legata alla nostra epoca, – ha detto – anche se non ci sono i telefonini e i computer. Forse perchè una storia così sarebbe stata difficile da capire negli anni Sessanta, in anni cioè di prosperità e di boom economico in cui non si sarebbe compreso perchè un ragazzo come Pietro (uno dei protagonisti del libro, l’altro è Bruno, n.d.a.) continui a tornare su questa montagna”.  Fatto sta che la serata è scivolata via fra un bicchiere di vino, la lettura di alcune pagine del libro e le domande del pubblico presente “perchè vivere di ciò che uno scrive – ha detto Cognetti – è un premio fantastico, il difficile semmai è stato scrivere”. Ma visto il successo del suo romanzo, acquistato in più di trenta paesi e con oltre cinquantamila copie all’attivo, con uno sfondo fatto di ghiacciai e di sentieri alle pendici del Monte Rosa, le emozioni che trasmette meritano tutte “il prezzo del biglietto”, pardon del libro.