Addio don Paolo, eremita con il sorriso, “solo ma non solitario”

SIGNA – La sua “casa” era sulle colline di Scandicci. In lontananza si vede anche il Duomo di Firenze. Intorno una distesa di olivi e tanta terra coltivata. Al centro di questa oasi a pochi minuti dalla città, l’eremo di Santa Maria degli Angeli e l’antica pieve di Sant’Andrea, che fino a una decina di […]

SIGNA – La sua “casa” era sulle colline di Scandicci. In lontananza si vede anche il Duomo di Firenze. Intorno una distesa di olivi e tanta terra coltivata. Al centro di questa oasi a pochi minuti dalla città, l’eremo di Santa Maria degli Angeli e l’antica pieve di Sant’Andrea, che fino a una decina di anni fa era anche parrocchia. Siamo a Mosciano ed è proprio da quella piazzetta fuori via, il cuore nascosto della frazione del Comune di Scandicci, che si accede a quella che fino a sabato notte è stato il luogo dove “si era ritirato”, nel vero senso della parola, a vivere don Paolo Giannoni. La sua casa ma anche quella, come amava ripetere di “chiunque desideri passare un po’ di tempo alla ricerca di se stesso”.

Infatti, che si entri nella chiesa o nel chiostro di Mosciano, quella che si percepisce subito è un’atmosfera diversa e fu lo stesso don Paolo, sacerdote e oblato camaldolese, in un’intervista che gli feci qualche anno fa, a spiegare perché: “Il silenzio abita in questi luoghi e ne esalta le caratteristiche”. Questa una delle principali regole di Mosciano: dove viveva don Paolo c’era una regola non scritta, bussa e ti sarà aperto: “Accoglienza, carità e povertà sono e restano priorità di vita per chi sceglie di vivere come eremita”. Nato a San Mauro nel 1935, don Paolo era stato ordinato sacerdote nel 1958 e, dopo essersi dedicato per nove anni al servizio di assistenza per il mondo giovanile, nel 1970 era stato nominato parroco di Strada in Chianti, a San Cristofano. Il 1992, invece, è stato l’anno della svolta, l’anno dell'”approdo” a Camaldoli. “Ho sempre portato dentro di me l’aspirazione di condurre una vita monastica – raccontava don Paolo – e finalmente il sogno è potuto diventare realtà. Non che a Strada mi trovassi male, anzi, ma se fosse dipeso da me, sarei andato a Camaldoli già molti anni prima”.

Dopo tre anni, nel 1997, fu l’allora cardinale di Firenze, Silvano Piovanelli, a chiedere a don Paolo se fosse disposto a trasferirsi a Mosciano in seguito alla morte del vecchio parroco e la sua risposta fu senza esitazioni: “Non provi a cambiare idea”, disse al cardinale Piovanelli. Per una vita, in questi oltre venti anni, che è sempre ruotata attorno alla preghiera, solo ma non solitario, in una regolarità quotidiana, che andava dalle prime luci dell’alba con l’ufficio delle letture e la lectio personale, alle lodi. Quindi ora media, vespri e compieta sul far della sera. Oggi Sant’Andrea non è più parrocchia: nominalmente è affidata a San Luca al Vingone, l’eremo tuttavia ha sotto la propria egida circa 400 anime, gran parte delle quali andavano spesso a Messa proprio lì: “Si tratta di una piccola, grande famiglia che ogni settimana si ritrova per celebrare insieme l’Eucaristia mentre numerosi altri fedeli, in tutta Italia, partecipano al cammino di formazione grazie all’invio settimanale della lectio sulle letture della domenica attraverso il mio indirizzo di posta elettronica”. Già, perchè don Paolo, oblato camaldolese ed eremita, era un frate 2.0, un sacerdote che ha precorso i tempi. “La vita monastica – sono sempre sue parole – vuole guardare l’uomo in faccia ma ciò non significa che l’eremita sia un “solitario”. Una cosa però è certa: le ore dei monaci sono sempre di sessanta minuti e non hanno la frenesia di chi vive nei grandi centri urbani ed è costretto a fare le corse contro se stesso…”.

Non a caso, spesso, l’eremo apriva le proprie porte e ospitava gruppi di scout o amici di Mosciano, persone che qui condividevano alcuni momenti forti nel corso dell’anno. “Persone che desiderano vivere la pace della preghiera o approfondire e partecipare all’esperienza di una vita monastica. L’unica condizione che viene posta è quella della serietà ma l’ospitalità non viene negata a nessuno, il tutto in un clima di semplicità e di provvidenza”. Eremita in città, quindi, ma non per questo un solitario: per spostarsi usava un’Ape, dedicava parte della giornata alla lettura dei quotidiani e i libri della sua ricca biblioteca, oltre ad essere uno strumento prezioso per le sue riflessioni, rappresentavano un ponte importante con l’esterno. Con un’attenzione particolare ai continui cambiamenti che la quotidianità della vita imponeva: “E’ fondamentale, sono quelli che aiutano a capire come va il mondo”. E un senso dell’estetica che non lo abbandonava mai: “Il chiostro è sempre in ordine perché entrando qui, si deve avere “l’essenza” del giardino terrestre…”. Che brutta cosa, don Paolo, parlare al passato. Ma siamo sicuri, come è stato scritto su Facebook, che “nell’abbraccio innamorato della Trinità, canti il tuo canto nuovo nell’inesausta liturgia del cielo, perchè l’Amore non dorme mai…”. Il funerale sarà celebrato domani, martedì 9 ottobre, alle 15.30 nella chiesa del Vingone, a Scandicci.